Il Barone Rosso di Cervinara

CARLO DE BELLIS (1908-1978)

L’avvocato Carlo Vittorio Emanuele De Bellis fu sindaco di Cervinara nel 1978(per sette mesi) assessore e consigliere provinciale(carica alla quale fu eletto per tre volte,nel 1967,nel ’70 e nel ’74)Militò nei socialisti e fu strenuo e temutissimo avversario della DC e sopratutto di Pasquale Clemente di cui tentò di arginare il potere con ogni mezzo. Subì la condanna al confino perché accusato di essere fazioso e prepotente .Noto per le decine di ricorsi che produsse contro  presunti brogli della DC e famoso per un violento attacco diretto nel 1961 al ministro fiorentino Sullo in piazza Trescine, non risparmiò la sua vis polemica ad elementi del suo stesso partito,per cui fu appellato con il nomignolo di "Barone Rosso".Barone in effetti era suo padre bernardo,uno dei tre fratelli de bellis a cui il sindaco Domenico Clemente aveva espropriato il terreno per realizzare il rettifilo che porta alla stazione .Pose mano al piano regolatore generale,ma non poté completare la sua opera,perché stroncato da un malore improvviso, alcuni ritengono che sia morto con un attacco cardiaco causato dall’eccessiva felicità di essere finalmente stato eletto sindaco dopo tanti anni. Il Barone aveva dato tutte le sue ricchezze per il suo partito e per il popolo di Cervinara .L’estremo omaggio gli fu reso da amici ed avversari politici e da una commossa folla di cervinaresi.

Durante il regime della DC, non si poteva cantare bandiera rossa e non si poteva gridare viva il socialismo. Non c’era libertà di parola, infatti a Cervinara in quegli anni, durante un dibattito della DC, qualcuno gridò”Viva il Barone” e le guardie immediatamente lo ammanettarono e lo tennero in carcere per un giorno.

 dispiace trovare pche informazioni su una persona di cui ho sentito parlare come un uomo speciale

Informazioni su Domenico J. Esposito

Domenico J. Esposito è autore dei romanzi La Città dei Matti (Mon&editori, 2009) e di Sia fatta la mia volontà – Qui nel mondo (Tempesta Editore, 2011). Ha collaborato con giornali locali e gestisce un blog che prende il nome del suo primo libro. Nel 2016 pubblica il romanzo Il Mondo Malato con Eretica Edizioni, dal quale è stata tratta l’omonima canzone interpretata dal cantautore Ivan Romano e reperibile su Youtube. Nel 2018 pubblica, ancora una volta con Eretica Edizioni, "Il Romanziere" e nel 2020, sempre con Eretica Edizioni, pubblica il romanzo "Voler bene in segreto".
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15 risposte a Il Barone Rosso di Cervinara

  1. umberto esposito ha detto:

    Debbo convenire con Lei che effettivamente, preso dalle novità qui presentate in controtendenza al fatto che, sempre più spesso – e in questo non posso essere che d’accordo con Lei- siamo tutti “vittime della disinformazione” , sono andato, per cos’ dire, “fuori argomento”. Il che tuttavia non senpre nuoce per la verità e alla verità. Sul resto spero che effettivamente Lei continuerà a leggere le mie ” belle informazioni” ( bontà Sua) altrove. Non posso quindi che ringraziarla di nuovo per la gentile disponbilità dimostrata e salutarLa. Umberto Esposito.

  2. Le consiglio di creare un suo blog, non è così che funziona. Lei mi sta dando belle informazioni, ma siamo fuori argomento. Crei un blog tutto suo e verrò a leggerlo.
    Saluti
    Domenico Esposito.

  3. umberto esposito ha detto:

    Riportiamo di seguito la Prefazione alla CRITICA ARMONICA DELLA RAGIONE COMPLESSA, il primo dei tre volumi filosofici del matematico, poeta e filosofo Onofrio Gallo (n.13 Maggio 1946 a Cervinara, Valle Caudina) contenuta nel suo Codex Cervinarensis (Sez. Filosofia)

    PREFAZIONE
    Sin dai tempi più remoti l’Uomo ha usato la sua ragione per sopravvivere. Con lo sviluppo delle conoscenze e l’avvento delle civiltà egli ha poi ampliato non solo i propri saperi, ma anche le proprie potenzialità d’indagine sulla Natura. Molte cose che prima non erano possibili cominciarono a diventare possibili: il fuoco, l’aratro, la ruota, la scrittura e tante altre scoperte si succedettero nel corso dei millenni. Tali scoperte costituirono il nucleo di ulteriori scoperte che via via portarono ad un “progresso”, per molto tempo lentissimo, ma costante; successivamente tale progresso fu sempre meno lento, ma ugualmente costante. Solo a partire dal XVII Secolo in poi esso è andato crescendo ed accelerando sempre più nel tempo. Tale “crescita ed accelerazione” ha raggiunto livelli impensabili negli ultimi due secoli e, in modo particolare, a partire dagli anni trenta del XX Secolo, con la scoperta della radio, della televisione, del computer; con la scoperta della radioattività, dell’energia atomica e con lo sviluppo dell’aeronautica fino alla nascita dell’astronauta che ha portato, con l’Apollo XI, i primi uomini sulla Luna il 20 Luglio 1969 e, successivamente, fino alla nascita del fenomeno più sconvolgente nel campo delle comunicazioni e delle telecomunicazioni: Internet, un mezzo elettronico in grado di diffondere istantaneamente ogni nostra idea e ogni nostro pensiero in giro per il mondo, cosa che contribuisce in termini dialettici e in modo costante, istante per istante, ad un’ulteriore accelerazione dei saperi e delle conoscenze umane. Quanto sopra per ricordare solo alcune tra le più recenti ed eclatanti scoperte in campo scientifico e tecnologico. Tutto ciò è stato possibile grazie allo sviluppo delle Matematiche in primo luogo e, subito dopo, delle Scienze Fisiche, Chimiche, Naturali e Biologiche, inclusa naturalmente la Medicina nell’ambito delle scienze della vita. Ma lo sviluppo delle Scienze sarebbe stato impossibile, se esso non fosse avvenuto su base deterministica e quindi “riduzionistica”; vale a dire, sulla riduzione dei vari tipi di conoscenze ad insieme di leggi e/o principi sui quali sono state fondate le varie teorie scientifiche esistite fino ad oggi sulla Terra. Tuttavia, ad un’analisi più approfondita, si può osservare che le teorie scientifiche (comprese quelle filosofiche) hanno, però, dovuto sempre “convivere” con i cosiddetti “dualismi”, taluni di essi mai del tutto eliminati ancora oggi; quali, ad esempio, quelli tra luce e materia, tra forma e sostanza, tra continuo e discreto, tra possibile e impossibile, tra certo e probabile e così via. Ma il dualismo fondamentale resta pur sempre quello tra la vita e la morte degli esseri viventi. Un dualismo da tutti i mortali considerato insuperabile. Tra i vari principi che hanno favorito il progresso scientifico in modo “riduttivo” troviamo al primo posto il principio di causa–effetto, che fino a pochi decenni orsono appariva insostituibile e insuperabile, ma che ha poi subito un grave contraccolpo verso l’inizio degli anni Settanta del XX Secolo. Il che fu conseguenza inevitabile dello sviluppo accelerato delle conoscenze e delle indagini scientifiche dell’Uomo in ogni campo, comprese le scienze della psiche e quelle sociali, favorito da due fattori in particolare. Il primo costituito dalle migliori condizioni di vita e da un’era di pace, anche se non del tutto serena, sospesa tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il probabile e angosciante, in quanto estremamente imprevedibile, inizio di un’eventuale Terza Guerra Mondiale. Il secondo relazionabile all’introduzione e all’uso massiccio del computer (il più potente alleato degli scienziati che ha realizzato il sogno di Leibniz (che pure ne fu un precursore con la sua macchina moltiplicatrice) di liberare gli scienziati dalla “schiavitù dei calcoli”) nel campo delle ricerche scientifiche. La conseguenza dello sviluppo accelerato di cui dicevamo portò ben presto la stessa Scienza ad auto-considerarsi, cosa che ha portato gli scienziati, loro malgrado e con loro somma meraviglia, a ri-scoprire il ruolo della “casualità” nei fenomeni naturali che ha condotto alla “istituzionalizzazione” ufficiale nella Scienza del dualismo “Determinismo/Indeterminismo”, uno dei più enigmatici tra i dualismi contro i quali la stessa Scienza pure s’era battuta con successo nel corso dei secoli usando, negli ultimi tre secoli, la strategia di evitare le situazioni e i fenomeni più difficili da prevedere o da spiegare se essi apparivano intrattabili matematicamente. Resta il fatto è che non è stato sufficiente ricorrere alla strategia suddetta, in quanto il dualismo in questione investe lo stesso modo di fare scienza e quindi la sua stessa epistemologia e i suoi stessi principi fondanti; primo fra tutti il principio di causa-effetto da tempo ormai parte fondamentale della stessa Filosofia della Scienza. Il determinismo, già applicato e che tuttora continua ad essere applicato con successo dalla Scienza in svariati ambiti in cui non erano presenti problemi di complessità, ossia lontani dalle “instabilità” di fondo che caratterizzano siffatti problemi, verso il 1870 si dimostrò inadeguato ad essere esteso alla risoluzione dei problemi che cadono sotto il dominio della Scienza della Complessità o, semplicemente, Complessità (nata verso il 1970) e caratterizzati o da un’ estrema volatilità dei dati (“data lacking” (mancanza di dati) ) o da ridondanza di dati (“data mining”) dovute entrambe alla turbolenza o instabilità alla base dei fenomeni complessi, i cui esempi paradigmatici in letteratura fanno riferimento alla fluidodinamica ( lo sgocciolare di un rubinetto o l’instaurarsi dei vortici in un flusso inizialmente regolare, ecc.),alla meteorologia (previsioni limitate ad due o tre giorni al massimo, in virtù del cosiddetto “effetto farfalla” di Lorenz: il battito d’ali d’una farfalla in un luogo può causare un uragano altrove), alla biologia e ad altre innumerevoli discipline di cui si occupa ormai da circa un quarantennio la cosiddetta Teoria del Caos, che include in sé anche il cosiddetto Caos deterministico scoperto dal matematico e filosofo francese H. Poincaré (1854-1912), che ebbe a scrivere in merito:
    “ Nella ricerca scientifica, come negli altri campi, molti sono i tecnici ma pochissimi i creatori, quelli davvero capaci di innovare, di abbandonare le strade già battute. E’ sin troppo facile e allettante interessarsi di un problema perché i tre quarti dei colleghi vi stanno lavorando, mentre le questioni veramente profonde e difficili,, che non promettono facili successi, non attirano i professionisti della pubblicazione (…omissis) …quel che rende per noi tanto preziose queste soluzioni periodiche è il fatto che esse sono, per così dire, la sola breccia attraverso la quale possiamo tentare di penetrare in u luogo finora ritenuto inaccessibile”.
    L’analisi di un sistema dinamico fu in seguito (1963) compiuta dal matematico americano E. N. Lorenz (1917-2008) sulla base delle ormai ben note “ equazioni di Lorenz”. Si tratta del seguente sistema di tre equazioni differenziali del primo ordine che egli ottenen semplificando le equazioni del moto alle derivate parziali che descrivono il movimento termico di convezione di un fluido :

    dove: σ è il numero di Prandtl e ρ è il numero di Rayleigh. σ, ρ e β sono maggiori di 0, ma nella maggior parte dei casi σ = 10 e β =8/3 mentre ρ è variabile. A causa del forte troncamento, sebbene tali equazioni, bene si prestano a descrivere il noto fenomeno di “convezione” solo per ρ≈1, esse possono essere usate come “modello a bassa dimensione” per rappresentare un comportamento caotico. Nello spazio delle fasi i grafici geometrici corrispondenti, rappresentativi del moto di un sistema caotico, vengono definiti attrattori strani, la cui dimensione di Hausdorff è frazionaria. L’attrattore di Lorenz fu il primo esempio di un sistema di equazioni differenziali a bassa dimensionalità in grado di generare un comportamento complesso rappresentato da un attrattore strano (il grafico relativo appare simile alle ali di una farfalla vista dall’alto) Il fatto davvero notevole è stato che dopo qualche decennio la stesso Scienza – che dopo aver scoperto da secoli (verso la seconda metà del XVIII Secolo) la presenza del Caos ne aveva evitato accuratamente il contatto fino agli anni ’70 del XX Secolo, quando, essendo già ormai certa di averlo messo all’angolo della ricerca scientifica, considerandolo per vari secoli, come un pugile suonato per sempre dal deciso K.O. infertogli dal Determinismo e che, perciò. avrebbe dovuto decretare per sempre la vittoria dello stesso Determinismo sul Caos- ha dovuto improvvisamente ricredersi e ha dovuto prendere coscienza del risveglio del Caos che è tornato alla carica in modo impensabile fino a pochi decenni orsono, finendo per diventare pervasivo in moltissimi ambiti scientifici e non. E dire che il Caos per secoli era stato occultato abilmente da tutte le teorie proposte dagli stessi scienziati “deterministi”, a partire dallo stesso Newton! La pervasiva presenza del Caos nella Scienza ha accentuato di fatto il dualismo Determinismo/Indeterminismo portandolo alle sue conseguenza più estreme, al punto che tale dualismo all’inizio della seconda decade del XXI Secolo appare non solo ineliminabile, ma anche e soprattutto “irreversibile”. Ma è veramente così? Tutto è davvero perduto in modo irreversibile ed irreparabile? Intanto occorre dire che, trattandosi di un dualismo scientifico globale, si tratta sempre solo di un dualismo e, come tale, vi sono ancora ampi margini per una sua ricomposizione e per un suo superamento, se, però, si è in grado di re-interpretarlo in modo originale ed opportuno. In che modo? Un modo originale, paradossalmente, ce lo suggerisce la stessa Storia della Scienza. Un esame approfondito dello sviluppo del progresso scientifico ci rivela che, laddove vi è “stabilità” a livello teorico e sperimentale, la stessa Natura si lascia prevedere, in altri termini i suoi fenomeni diventano predicibili; e, nel contempo, laddove la Natura è predicibile, essa obbedisce necessariamente a principi di causa-effetto, in quanto è noto il linguaggio matematico necessario per effettuare tali previsioni. D’altra parte, laddove la Natura è impredicibile, è convinzione comune che essa non obbedisce necessariamente a principi di causa-effetto: il che tuttavia dipende dal fatto, anch’esso evidenziato da tutti, che non è noto il linguaggio matematico necessario per effettuare tali previsioni. E’ pertanto possibile affermare, in generale, che il dualismo Determinismo/Indeterminismo è sempre esistito ed esso non fa altro che evidenziare i limiti del nostro “modo” di affrontare i fenomeni complessi venuti alla ribalta, come detto, negli ultimi quattro decenni; per cui la mancata risoluzione di tali problemi complessi, in virtù del “ritardo” che essi causano attualmente all’ulteriore progresso della Scienza, si pone come un problema “urgente” da risolvere. Ma da dove cominciare? La risposta, per paradossale che sia, non può essere che quella di considerare la Natura come una “laguna” costituita da “isole d’ordine” ( in cui regna il Determinismo) e da “isole del disordine”(in cui regna l’Indeterminismo) connesse le une alle altre da un “disegno” topologico (sta per “logico”) che, dal punto di vista della struttura logica che regna nei due tipi di “isole”, non è ancora noto alla Scienza attuale. Il progresso della Scienza sembra a questo punto estremamente condizionato dal dualismo di cui ci occupiamo; né, allo stato attuale, sembra possibile costruire quella serie di “ponti” (logici) in grado di “unificare” i procedimenti deterministici (noti) con quelli (ignoti) collegati all’Indeterminismo. E’ vero che, a d esempio, la Fisica negli ultimi tre secoli ha scoperto un esiguo numero di forze fondamentali che non supera il numero delle dita di una mano, ma è altresì vero che ( e forse questo è il punto nevralgico che ancora oggi filosofi e scienziati non hanno sviscerato come si conviene) tutti i tentativi di una “unificazione” di tale esiguo numero di forze fondamentali e, di conseguenza, ma ad un livello più generale, di tutti i principi di causa-effetto, sono tutti irrimediabilmente tutti falliti, a cominciare da Newton fino ad Einstein. La risoluzione del dualismo Determinismo/Indeterminismo non sembra a prima vista esser legato a tale problema di unificazione nel regno delle varie “isole d’ordine”dove primariamente ( a livello subatomico cioè) si manifestano le varie forze della Natura in quanto tuttora non è stato individuato un unico principio P. Il che, in parallelo, è avvenuto a livello generale anche per la stessa Scienza che non è riuscita fino ad oggi ad individuare un unico principio P’ che si trovi alla base delle varie discipline scientifiche. Il fatto sorprendente è che nessuno si è mai domandato fino ad oggi se i principi P e P’ possano e/o debbano essere lo “stesso” principio P*(=P=P’). Sta di fatto che solo l’identificazione tra P e P’ può condurre ad un unico principio P* che, non a caso, sin d’ora definiamo “Principio Armonico Universale”, in virtù del fatto (paradossale quanto si vuole) che esso è in realtà lo stesso (!) principio che si trova sia alla base del Determinismo sia alla base dell’Indeterminismo, come proveremo nella nostra trilogia, costituita dalla Critica della Ragione Complessa (Vol. I) , dalla Filosofia Armonica Universale (Vol. II) e dalla Scienza Armonica Universale (Vol. III). Nella nostra Critica della Ragione Complessa (una “ragione complessa” fondata su basi paradossalmente neo-causali) ci sforzeremo di raggiungere una posizione “ armonica” (di perfetta corrispondenza e identità tra visioni ritenute ancora oggi contrapposte delle cose del Mondo, come, in particolare, tra Scienza e Fede; tra l’Uomo e Dio etc.) e “universale” (al di sopra di tutto e di tutti) che si pone come vera e propria extrema ratio prima sul piano fisico e subito dopo sul piano metafisico da parte della ragione umana nel considerare e superare criticamente la complessità del reale ossia ciò che comunemente è ritenuto incontrollabile e inconoscibile in quanto non sperimentabile. In tale senso la “critica della ragione complessa”intende proporre un “ritorno” a quell’esperienza che tradizionalmente precede la distinzione tra l’Universo complesso e la ragione complessa dell’Uomo e che non è apparentemente suscettibile di alcuna interpretazione in virtù della sua “complessità”né in modo idealistico né in modo materialistico in quanto, come detto, si tratterebbe, come accennato in precedenza, di “complessità” che stanno al di là della portata del principio di causa-effetto. Ma allora che cosa si deve intendere per “complessità universale”? Per noi la complessità universale non è una complessità “specifica”, ma si tratta appunto di “complessità” intesa nella più ampia accezione del termine: essa è, in breve, la struttura dell’ Universo e dell’Uomo, considerata a prescindere da qualsiasi teorizzazione di quanto di complesso viene esperito. In questo senso la complessità universale non si avvicina alla interpretazione e considerazione naturale, ingenua e “impotente” da parte dell’uomo comune o dello scienziato quando indaga sui fenomeni complessi; ma, al contrario, essa si deve intendere la costante ricerca di principi universali in base ai quali sia possibile unificare la “molteplicità” prodotta dalla stessa “complessità”. Non a caso la visione naturale, ingenua e “impotente” da parte dell’uomo comune definisce “complesse” le percezioni di oggetti indefinibili (ad esempio gli UFO) e altrettanto “complesse”risultano le descrizioni approssimative e incerte di tali ricordi; o le visioni immaginarie e oscillanti ai limiti della coscienza oggetto d’indagine delle Scienze della Mente (Psicologia, Psichiatria etc.); o le idee “conflittuali”che, pur essendo articolate logicamente, ad un certo punto si rifiutano di obbedire alla nostra logica consueta e finiscono, appunto, per entrare in conflitto tra loro in quanto sfuggono ad ogni ambito definitorio in termini razionali; o le valutazioni cangianti e instabili relativi ad eventi e situazioni anch’essi cangianti e instabili; o i giudizi aleatori che talvolta la nostra ragione è costretta ad articolare in presenza di incertezze ( il “dubbio amletico” essere o non essere? di un aspirante suicida, il “dubbio legale” dei giudici: colpevole o non colpevole? sul reo di turno, etc); o di fluttuazioni delle situazioni reali ( oscillazioni improvvise dei mercati economici e finanziari e relative decisioni variabili o costrette a diventare tali immediatamente dopo aver compiuto una scelta, etc.); o di rischio ( nel gioco d’azzardo, dove “tutto può verificarsi” contro il giocatore in termini di probabilità, etc.). Per cui, se la complessità universale è l’insieme di tutto questo, si pone immediatamente il problema di come orientarsi in tali”complessità”, ossia come discernere tra le varie alternative a disposizione o, se si vuole, in che modo esse posano essere distinte, ordinate ed inquadrate in una visione stabile e unitaria sullo sfondo della complessità universale. La risoluzione di tale problema relativo alla complessità in generale è compito specifico e fondamentale della nostra Critica della Ragione Complessa. Da quanto si è detto si deduce che, a livello generale, la complessità è tutto ciò che viene asserito in relazione ad eventi incontrollabili sulla base delle conoscenze attuali (che si trovano ancora al di qua di un principio armonico universale tuttora ignoto alla Scienza ufficiale) e ciò a prescindere, anche in questo caso paradossalmente, da chi formula tali asserzioni, messe per iscritto sia da un folle che da un esercito di scimmie o da uno scienziato, da un filosofo o da un’équipe di “esperti” del settore. E ciò in quanto ordinariamente la “complessità” non è dominabile tout court dalla logica euclidea, ma da un tipo di logica non euclidea(di cui diremo in seguito); allo stesso modo in cui non lo era la meccanica newtoniana (di tipo “ deterministica” in cui il moto dei corpi segue le leggi della geometria euclidea ed era dominato dalle equazioni differenziali che non sono equazioni di campo) nei confronti della meccanica gravitazionale di Einstein (anch’essa di tipo “deterministica”in cui le equazioni del moto delle masse celesti possono essere ricavate, mediante il calcolo differenziali assoluto di Ricci-Curbastro, Levi-Civita et al., dalle equazioni del campo gravitazionale associato o “relativo” ad un determinato corpo celeste e nel quale lo spazio-tempo non segue le leggi della geometria euclidea).
    La “complessità” viene, quindi, a configurarsi ( a differenza della Scienza e della Filosofia tradizionali, come, ad esempio, nel razionalismo e perfino nel Positivismo) come una enorme massa di problemi afferenti alla sfera della complessità, tuttora esistenti e che appaiono irrisolvibili, su cui si esercita poi la “critica della ragione complessa” umana, la quale indaga sulle “condizioni” della complessità non certo per tentativi, ma in base alla preventiva ricerca del Principio Armonico Universale onde instaurare il “ritorno” all’”armonia universale” che sta alla base del “disegno divino” che regola la stessa complessità universale. In tale ricerca non è fuori luogo tener presente che tutti i sistemi filosofici non hanno rappresentato altro se non le modificazioni di precedenti assunti il cui contenuto –nelle intenzioni dei loro autori- doveva costituire implicitamente il concetto naturale di complessità universale che, contro ogni loro aspettativa, si fonda, al contrario, su un unico principio fondante come stiamo cercando di far comprendere (si spera) il più chiaramente possibile al nostro Lettore. Il campo della complessità universale è incompleto se in esso non si colloca anche la ragione complessa dell’uomo e la serie delle relazioni – in termini “complessi”- tra l’Uomo, la sua ragione e l’Universo. Nella complessità universale, dunque, la ragione complessa dell’Uomo si trova dinanzi a situazioni ed eventi di fatto complesse nelle quali appare in sostanza la complessità universale che si riverbera in Natura proprio mediante tali situazioni e tali eventi complessi interrelati in una coordinazione che appare irrisolvibile. Pertanto la ragione complessa dell?Uomo e la complessità della Natura non sono realtà opposte: l’una e l’atra appartenendo ad un’unica complessità universale, necessariamente devono soggiacere ad uno stesso principio. Il fatto che tale principio sia unico e sia nel contempo armonico lo si può dedurre per due vie diverse. La prima osservando la complessità della ragione umana rappresentata dalla armonica complessità del suo cervello che interagisce con gli stessi caratteri e attributi con la complessità della Natura che, una volta decifrata, consente di estendere tale armonìa universale allo stesso Universo, unificando la Fisica con la Metafisica, l’Uomo con l’Universo e con il concetto di Dio. Questo è il motivo che ci ha indotto ad eliminare ogni contrapposizione tra la complessità della Natura e la complessità della ragione umana o ragione complessa ponendoci, una volta per tutte, in grado di superare qualsiasi tipo di dualismo che fino ad oggi si è annidato nella famiglia dei sistemi filosofici che si sono succeduti nel tempo per vari millenni. Tutto accade,dunque, perché deve accadere: e gli eventi che si verificano (siano essi semplici o complessi) sono quelli che soggiacciono al nostro Principio Armonico Universale; anche se non è possibile distinguere a priori – come nella filosofia kantiana- un io dotato di strutture categoriali complesse, proprio perché la “complessità” non è definibile in modo compiuto e aprioristicamente. Da un punto di vista strettamente fisiologico una tale analisi ci consente di intravedere, ma solo nebulosamente, in modo indeterminato, che la ragione complessa umana è un insieme di stati complessi a livello cerebrale nell’Uomo, caratterizzati dalla continua e costante ricerca e dall’autonoma capacità di adattamento all’ambiente, essendo in grado di operare e di incrementare per “feed-back” le nostre esperienze (dalle più semplici alle più complesse) relative alla complessità della Natura. Esperienze complesse in base alle quali la stessa “ragione” individuale tende a coagularsi in nuclei di complessità sempre più stratificati e concentrici che vanno ad accrescere lo spessore della “ragione complessa” che perviene gradualmente alla cosciente acquisizione di un principio armonico universale interiore che, proiettato fuori di sé, finisce per identificarsi con la conoscenza armonica e universale della complessità della Natura. La conoscenza della complessità della Natura non è più la ricerca dell’adattamento ai fatti dell’esperienza, ma, al contrario, è la “proiezione” di una struttura armonica universale interiore dell’Uomo ( la sua ragione complessa sviluppata al massimo livello) sulla complessità della Natura. Da tale “proiezione” nasce poi l’identità tra la complessità della ragione umana e la complessità del reale. Ed è solo quando si stabilisce tale identità che è possibile avere ragione della complessità universale risolvendo problemi che prima apparivano irresolubili in virtù del loro alto grado di complessità. Ad un’analisi più fine è allora anche, in linea di principio, rispondere alla domanda: “ Come nascono e come si risolvono i problemi della complessità?”. I problemi complessi nascono dalla disarmonia tra la teoria e i fatti o dalla disarmonia tra la concatenazione degli elementi della ragione complessa. In un primo tempo, dunque, abbiamo i problemi complessi che noi cerchiamo normalmente di risolvere ricorrendo alle ipotesi più varie che, di fatto, costituiscono una specie di adattamento un ambiente molto instabile che presenta novità del tipo “la somma delle parti è maggiore del tutto” e in cui lo squilibrio prevale, anche a livello locale, sull’equilibrio. Davanti a tali stranezze della complessità in genere la nostra ragione complessa ( che supponiamo priva di un principio-guida) saggia la natura in termini complessi, ossia ricorrendo a una grande molteplicità e ricchezza di idee, ognuna delle quali viene “provata” per verificarne le applicazioni alla complessità dei fatti sulla base di una teoria che può già esistere o che si costruisce man mano che le idee risultano verificate dai fatti, talvolta anche se solo parzialmente. Si crea in tal modo un processo di “osmosi logica” tra la logica dei fatti e la logica della teoria, anche se tale modo di procedere mal si concilia con i fenomeni complessi in cui difficilmente alcuni elementi del problema o del fenomeno si possono far dipendere l’uno dall’altro, in quanto tale tipo di procedere, per lo più, non fa altro che farci comprendere ancora una volta che laddove noi cerchiamo la dipendenza tra due o più parti del problema o del fenomeno, non facciamo altro che scoprire una serie di elementi del tutto indipendenti l’uno dall’altro; mentre per costruire un nucleo minimo di conoscenza scientifica occorre che siano note le interdipendenze tra le parti di un problema o di un fenomeno complessoi. In altri termini anche nel caso di problemi complessi la nostra ragione complessa va a caccia di un qualche nesso causale tra le parti del problema. La ragione di ciò discende dal fatto che i concetti legati a parvenze di relazioni provvisorie che affiorano durante lo studio della risoluzione dei problemi complessi sempre più raramente, in virtù della loro incompletezza ed imprecisione, sembrano essere collegate o collegabili attraverso nessi causali, per cui l’impossibilità di pervenire a nozioni di “funzione” non consente di ottenere –neppure in minima parte- qualche relazione tra gli elementi complessi del problema da risolvere. In altri termini si perviene ad un fallimento totale. Fino ad oggi i filosofi e gli scienziati hanno dato la colpa di tali fallimenti unicamente o prevalentemente al principio di causa-effetto che si rivelerebbe inadatto alla risoluzione dei problemi complessi; anche se, come – al contrario- noi riteniamo e come dimostreremo più avanti non è proprio così. Infatti, come evidenziato più sopra, solo in base al ripristino di un più generale principio di causa-effetto, sotto le vesti del nostro Principio Armonico Universale, sarà possibile porre le premesse necessarie (ma ovviamente non sufficienti) per la risoluzione a livello generale dei problemi connessi alla “complessità” dei fenomeni naturali. Se è vero che” Natura non facit saltus” ( ossia che la natura non ama le discontinuità), è a nche vero che la stessa Natura ama la semplicità e l’economia, ossia ama fondarsi su pochi e semplici principi, e, a livello armonico universale, non può pertanto non fondarsi che su di un “unico” principio di tipo armonico e universale. La complessità della Natura competerebbe dunque a tutti quei fenomeni che si trovano ancora “allo stato selvaggio” secondo il consueto modo di vedere la realtà complessa, ignorando del tutto il fatto che tale “stato selvaggio” non è altro che la “ricerca” di un adattamento molto lento e graduale dei sistemi complessi al più generale dei principi di causa-effetto: il Principio Armonico Universale. Così come noi non siamo in grado di percepire fenomeni che avvengono nell’ordine dei femtosecondi ( paria a un milionesimo di miliardesimo di secondo), allo stesso mod, proprio per la estrema lentezza e gradualità di adattamento dei fenomeni complessi al suddetto principio generale di causa-effetto, noi ( senza un principio-guida in ambito complesso) non siamo in grado di cogliere i lentissimi cambiamenti e le altrettanto lentissime variazioni graduali della “complessità” verso il determinismo; né , per converso, siamo in grado – se non da qualche tempo- a percepire il passaggio della Natura dal Determinismo all’Indeterminismo. Solo la conoscenza del Principio Armonico Universale consente alla nostra ragione complessa di rendersi conto delle continue trasformazioni naturali di talune isole d’ordine (Determinismo) in isole del disordine (Indeterminismo) e, viceversa, da talune isole del disordine (Indeterminismo) alle isole d’ordine (Determinismo).
    Tali trasformazioni, essendo continue nello spaziotempo, costituiscono un “flusso continuo” dal Determinismo all’Indeterminismo; il che, già di per sé, sarebbe sufficiente per dichiarare il non senso del supposto dualismo Determinismo/ Indeterminismo.
    Il fatto è che, per quanto ci riguarda, il flusso continuo di cui sopra è solo “apparente” , allo stesso modo di come lo era stato il moto apparente del Sole rispetto alla Terra (e che per vari millenni ha ingannato l’Uomo, prima della Teoria di Aristarco, ripresa e perfezionata in seguito da Copernico). Il “flusso continuo” dal Determinismo all’Indeterminismo è “apparente” in quanto Determinismo e Indeterminismo risultano anch’essi unificati, risultando equivalenti in quanto essi sono completamente “identici” , se si assume come principio genearle di causa-effetto il nostro Principio Armonico Universale. Per cui se Eraclito affermò il Divenire (tutto scorre, in quanto esiste il moto) e Parmenide sostenne l’Essere (tutto è immutabile, in quanto non esiste il moto) creando di fatto il primo e fondamentale dualismo in campo filosofico e scientifico; noi, nell’ambito della nostra Critica della Ragione Complessa, una volta istituito il nostro Principio Armonico Universale a fondamento della unità della Scienza, della Filosofia, della Religione, e, una volta superati ( per averli unificati) i dualismi fondamentali Determinismo/Indeterminismo (ossia il dualismo Essere/Divenire), Semplice/Complesso, Ragione/Fede (per non citarne altri ancora) pensiamo di aver fornito i canoni e il principio-guida fondamentale per proseguire ed ampliare su vasta scala – a livello semplice o complesso- la ricerca scientifica dei prossimi millenni; in quanto riteniamo di aver “corretto”le coordinate che stavano portando fuori rotta la flotta dei ricercatori e degli scienziati i quali si ostinavano (non potendo pervenire più alle “teorie”) a creare “modelli” nell’ambito di quasi tutte le discipline scientifiche con risultati scarsi e talvolta contraddittori. Tuttavia tale “correzione” sarà completa quando parleremo, più avanti in quest’opera, del ruolo e del significato del “linguaggio”. Solo allora il nostro Lettore riuscirà a cogliere in tutta la sua ampiezza la nostra piccola/grande rivoluzione scientifico-filosofico-religiosa. Qui aggiungiamo solo alcune considerazioni sul ruolo del nostro principio-guida.
    Il Principio Armonico Universale ponendosi come principio-guida della conoscenza suggerisce la possibilità di costruire di fatto quel “metodo universale” d’indagine che Cartesio ed altri filosofi e scienziati avevano erroneamente creduto d’aver individuato o avevano cercato d’individuare con tutte le loro forze nel corso dei secoli per fondare una gnoseologia naturale e, se possibile, universale o metafisica. Nel nostro caso, trattandosi di un principio armonico universale che governa tutti i fenomeni naturali, non è difficile affermare che tale principio assume anche il carattere di un principio metafisico e,come tale, per mezzo di esso, risulta possibile non solo spiegare i fenomeni della Natura, ma anche comprendere il come e il perché della formazione dell’Universo. Sulla base di tali nuove possibilità non è difficile comprendere che, mediante tale principio armonico universale, l’Uomo, proiettato dalla Fisica alla Metafisica, è ora in grado di comprendere quel “disegno divino” che opera nell’Universo attraverso le leggi del Determinismo e dell’Indeterminismo e che, concepito dalla nostra ragione, si trova nella mente umana da sempre, come da sempre si trova in Natura. Se poi vogliamo attribuire quel “disegno divino”( intravisto da vari filosofi e scienziati del passato e “codificato” sotto vari punti di vista in termini filosofici e ontologici dalla Filosofia e dalla Religione) ad un Ente che sta fuori dell’Universo e che ne è il “creatore” non incorriamo in alcuna contraddizione logica, sia che tale Ente lo consideriamo esistente al di fuori della nostra mente, sia che lo consideriamo come Idea reale a sé prodotta della nostra mente. In ogni caso tale Ente esiste sia al di fuori che dentro di noi e non è difficile comprendere che l’esistenza di un collegamento o punto di contatto tra tale Ente e l’Uomo costituisca la base dell’identificazione, mediante un unico principio universale armonico, tra l’Uomo e tale Ente: Ma possiamo chiamare “Dio” tale Ente? Se intendiamo con il termine “Dio” un Ente in grado di creare una tantum l’Universo complesso oggetto della nostra ragione complessa, ma indubbiamente da considerare un Non-Ordinatore non solo in riferimento a tale Universo complesso, ma anche, necessariamente, in riferimento alla nostra ragione complessa: in caso contrario sia l’Universo complesso sia la nostra ragione complessa sarebbero strutture complesse “preordinate”, il che costituirebbe un assurdo; in quanto nell’atto della creazione dell’Universo da parte di Dio, già in partenza, non sarebbe contemplato non solo il libero arbitrio dell’Uomo, ma neppure la necessità di conoscere l’Universo; per cui, in definitiva, la stessa Scienza costituirebbe un inutile pleonasmo), e , dunque in tale ottica, la risposta non può che essere positiva, stante il bisogno di fede che noi riponiamo nella nostra stessa “Ragione” che, in tale ottica, nel momento stesso in cui essa ci ha condotto a scoprire il Principio Armonico Universale, necessariamente la nostra Ragione diventa “Ragione Armonica Universale” e finisce per identificarsi con la nostra Fede nel Principio Armonico Universale che la caratterizza pienamente. E dunque Ragione Armonica Universale e Fede in quel Dio che è in noi (S. Agostino in ambito Ontologico) e fuori di noi (in ambito Filosofico) sono pienamente conciliabili ed identificabili, poiché le due facce di una stessa medaglia: il concetto dell’identità Dio-Scienza o Fede-Ragione.
    News a cura di Umberto Esposito per gentile concessione dell’Autore.

  4. umberto esposito ha detto:

    RÉNÉ DESCARTES (CARTESIO)-APPROFONDIMENTI FILOSOFICI DI ONOFRIO GALLO/2- LA MORTE DI CARTESIO: UN GIALLO STORICO.

    La morte di Cartesio
    Nel 1649, dopo un breve soggiorno in Francia, nel mese di settembre, Cartesio decise di accettare l’invito a Stoccolma da parte della regina Cristina di Svezia che desiderava ardentemente entrare in contatto con il filosofo rivoluzionario francese che così bene sapeva guidare la sua ragione in quasi ogni ramo dello scibile umano e che non mancava di ottime maniere come dimostravano le sue eleganti dotte e forbite lettere alla principessa Elisabetta (1618- 1680), terzogenita del principe elettore palatino Federico V. La principessa Elisabetta era un miscuglio di rara grazia, ma di ancor più raro acuto e profondo sapere e, secondo Cartesio, in grado di superare anche qualche vecchio dotto dei suoi tempi, dalla forte personalità, grande ragionatrice, poliglotta e appassionata di varie scienze, sensibilissima e intelligente, ben formata fisicamente e, al pari dei saggi, spesso distratta, ma capace di citare, al pari di Cartesio, in lingua originale, autori allora attuali, come il Machiavelli e la sua opera (Il Principe), o autori del passato, come il filosofo e pensatore romano Seneca (De vita beata).
    La principessa Elisabetta, definita “l’amour raisonnable” ( “l’amore ragionevole”)di Cartesio, i cui rapporti epistolari reciproci costituiscono sinonimo di “civilté des compliments” (“civiltà dei complimenti”), viene illuminata da Cartesio anche sulla metafisica, sulla teologia, sulla medicina sulla politica, ed, infine, anche sulla morale, sul modo cioè in cui occorre far intervenire la ragione per tenere a freno le passioni.
    Quella ragione per la quale Cartesio, il primo Settembre 1645) si lasciò andare una tantum in una lettera alla stessa principessa Elisabetta ad esclamare che sarebbe stato per lui “ meno grave perdere la vita che la ragione!”
    Le Passioni dell’anima, che risentono della tradizione stoica, pur riconoscendo Cartesio la peculiare naturalezza delle passioni umane, furono iniziate da Cartesio nel 1645 e si compongono di tre parti per complessivi 147 brevi capitoli.
    Esse sono causate, secondo Cartesio, dagli “spiriti animali” presenti nell’Uomo e sono da lui classificate tra le percezioni “subite” dal corpo, ma non dall’animo.
    Cartesio, a fondamento della gamma delle passioni, individua sei passioni originarie dalle quali, per combinazioni reciproche, vengono causate tutte le altre. Una norma generale e fondamentale per tenere a bada le passioni dell’anima è individuata da Cartesio nel giudizio ragionato circa il valore degli oggetti vesso cui sono indirizzate le passioni, il che presuppone un valido criterio morale, tenuto conto che le stesse non sono sottoposte ad alcun atto di volontà da parte del soggetto. Costui non ha il potere di eccitarle o di reprimerle con atti di volontà.
    Tuttavia lo stesso Cartesio non delinea alcuna morale nella sua opera filosofica, se non una “morale provvisoria”, già espressa nel Discorso sul Metodo.
    Si tratta di una serie di norme moderate e conservatrici dello stato quo in tutti gli ambiti: legale, politico (la rinuncia a voler cambiare il mondo),morale ed altri sottolineando apertamente la perseveranza nelle decisioni prese, l’autodominio dei desideri.
    Se, tra i precetti contenuti nella sua morale (non a caso, ma forse volutamente) “provvisoria”, si prende in considerazione quello relativo alla “rinuncia a voler cambiare il mondo”, ci si può rendere conto facilmente che si tratta di una convinzione di facciata, in caso contrario, se Cartesio in questo caso si fosse tolto la maschera dicendo davvero quello che pensava, sarebbe incorso in grave contraddizione. Non è forse l’intera sua opera tutto tranne che un’opera in cui si prospetta la ““rinuncia a voler cambiare il mondo”?
    Dalla risposta a tale interrogativo riteniamo di poter trarre importanti conseguenze circa la sua morte.
    E’ un amaro destino quello che attende i resti del povero Cartesio.
    Un destino – come qualcuno ha osservato- spesso comune ai grandi uomini, che in genere non hanno avuto vita facile, per cui si spera che, almeno dopo la loro morte, essi possano godere di un destino più benevolo.
    Ma per ironia della sorte capita spesso, invece, che, dopo la morte, perfino le loro ossa finiscano con l’essere sottoposte ad un ulteriore travaglio e che le stesse si rendano inconsapevoli protagoniste di eventi caratterizzati da inimmaginabili situazioni e peripezie non certo inferiori a quelle subite in vita. Infatti la curiosa e, per certi versi, misteriosa vicenda dei resti del grande filosofo razionalista morto a Stoccolma la notte dell’11 febbraio 1650 col tempo si è trasformata in un vero e proprio enigma. Già durante la sua vita, Cartesio subì incomprensioni, vessazioni e persecuzioni per le sue idee rivoluzionarie sia in campo scientifico che in quello filosofico. Subito dopo la sua morte, in genere archiviata come ”polmonite” dai biografi e dagli storici, Cartesio fu sepolto poco a nord di Stoccolma in un piccolo cimitero cattolico. Ma era destino che neppure dentro una bara i suoi resti mortali avrebbero avuto modo di riposare in pace. Infatti i resti dello scienziato e filosofo francese, appena sedici anni dopo, furono riesumati per essere traslati a Parigi, nella chiesa di Sainte-Geneviève-du-Mont, dove quei resti subirono una seconda tumulazione. Si scoprì che gli svedesi ne avevano asportato la testa che ricomparve ad un’asta a Stoccolma dove il cranio fu acquistato e donato alla Francia. Sul teschio, ormai privo della mandibola e della parte inferiore, compaiono le firme di tutti i suoi proprietari dalla fine del Seicento sino al momento della vendita. Secondo l’uso del tempo gli intellettuali infatti tenevano sulla scrivania un teschio, meglio se di un illustre personaggio, a memento della morte comune ed inevitabile. Ma il teschio, attribuito a Cartesio sia per l’età che per le ricostruzioni fatte in base ai ritratti del filosofo, continuò a rimanere separato dal resto del corpo ed esposto al Musée de l’Homme.
    Tra Gennaio e gli inizi di Febbraio 1650 lo stato febbrile di Cartesio preoccupava Chanut, il suo amico fedele, che, reduce anch’egli da uno stato febbrile analogo, notò l’irregolarità del respiro dell’amico. Qualcuno affermò anche che alla febbre ora era subentrata la polmonite. Lo sguardo di Cartesio, a causa della dilatazione oculare dovuta alla febbre alta, appariva distante, strabiliato, indifferente, perduto nel vuoto, come se il paziente fosse affetto da strabismo acuto. Chanut aveva proposto di far accorrere il medico di corte, ma, a tale proposta, Cartesio si era opposto con tutte le sue ultime forze infuriandosi moltissimo, ansimando a lungo e tossendo in modo stizzoso.
    La ventitreenne regina Cristina, agli antipodi del palazzo dove si trovava il suo precettore, non appena le fu reso noto il gravissimo stato di salute di Cartesio, dalla sua dimora principesca, all’altro capo dell’isola che divide il centro di Stoccolma, inviò prontamente il proprio medico curante ad assisterlo:
    Costui, un olandese di nome Wullen, alquanto tarchiato, dall’espressione burbera e dall’aria inaffidabile agli occhi di Cartesio, una volta giunto con riluttanza al capezzale del filosofo si scontrò quasi subito con il povero Cartesio, che gli dette dell’incapace e che, alla presenza di Chanut e del tristemente noto padre Francois Viogué, un frate agostiniano, lo cacciò via e lo fece accompagnare immediatamente alla porta non appena quello pronunciò la parola “salasso”, esclamando con quel poco di energia che ormai gli restava; “Signori, non sprecate sangue francese!” Il medico se ne andò con fare infingardo e, dimostrando di essere ben lieto di essersi liberato della faccenda, sembra che borbottasse persino un verso canzonatorio di Orazio piuttosto insulso e fuori luogo per l’occasione, dicendo: “Chi salva qualcuno contro la sua volontà, si pone sullo stesso piano di chi lo uccide”.
    Cartesio morì l’11 Febbraio 1950.
    Durante la Rivoluzione francese i suoi resti furono tumulati al Panthéon assieme a quelli degli altri grandi pensatori francesi e nel 1801 il villaggio in cui era nato venne ribattezzato, in onore del filosofo, La Haye – Descartes; dal 1966 definitivamente denominato “Descartes”.
    In base ad alcune ricerche, ritenute attendibili da esperti della materia, tra essi Rolf Puster, dimostrerebbero che Cartesio fu avvelenato con un’ostia della comunione intrisa d’arsenico dal frate Viogué, che di norma somministrava i sacramenti allo stesso Cartesio, che non era affatto un miscredente. Viogué era l’inviato apostolico del papa Innocenzo X, il quale svolgeva le funzioni di cappellano presso l’ambasciata francese a Stoccolma, ed era stato incaricato di operare per la conversione della regina svedese al cattolicesimo e di vigilare sull’andamento degli insegnamenti filosofico-teologici di Cartesio alla stessa regina. L’inquietante ipotesi che Viogué sia stato l’assassinio di Cartesio si basa sul non trascurabile presupposto che il frate agostiniano non doveva vedere certo di buon occhio l’insegnamento cartesiano fondato su un ideale razionalista che avrebbe di certo portato alla conversione della regina Cristina, ma indirizzandola ad un cattolicesimo ben diverso da quello voluto e professato dallo stesso padre agostiniano il cui odio per Cartesio – secondo Ebert- era cosi’ profondo da rifiutargli in punto di morte l’estrema unzione, poiche’ “voleva spedirlo all’inferno”!. Il fatto poi che tale supposizione sembri in parte contrastare con una testimonianza della stessa regina Cristina che, già convertitasi al Cattolicesimo nel 1654, quattro anni dopo la morte di Cartesio, figura nell’introduzione all’edizione parigina (postuma) delle Méditations métaphysiques, nella quale ella elogia Cartesio scrivendo che « (M. Des-Cartes) a beaucoup contribué a nostre glorieuse conversion; et que la providence de Dieu s’est servie de luy (…) pour nous en donner les premières lumières; ensorte que sa grâce et sa misericorde acheverent apres à nous faire embrasser les veritez de la Religion Catholique Apostolique et Romaine » ( “Il Signor Des-Cartes ha contribuito parecchio alla nostra gloriosa conversione, e che la provvidenza di Dio s’è servito di lui (…) per darci i primi lumi; al punto che la sua grazia e la sua misericordia in seguito finirono per farci abbracciare le verità della Religione Cattolica Apostolica e Romana”) non costituisce di certo, a sua volta, una prova “cruciale” per escludere completamente – in virtù di quanto già riportato in precedenza -l’ipotesi dell’avvelenamento di Cartesio ad opera del frate Viogué. La morte del filosofo francese si presenta dunque anche in seguito si pressentò come un vero e proprio giallo. Nel 1819, alla presenza dei rappresentanti dell’Accademia delle Scienze di Parigi, la salma fu riesumata per la seconda volta. Tuttavia, nell’aprire la bara, c’era qualcosa che non andava. Infatti allo scheletro del filosofo mancava inspiegabilmente il cranio. Molti già allora si chiesero: “Cartesio a Stoccolma morì davvero di polmonite o fu avvelenato?”.
    Nel 1939 il filosofo tedesco Theodor Ebert dell’Università di Erlangen, dopo aver frugato quasi ininterrottamente per tre anni negli archivi di Stoccolma e di Parigi, in seguito alla scoperta di un rapporto del medico personale del filosofo, che all’ottavo giorno di malattia del filosofo francese diagnosticò “perdurante singhiozzo, espettorazione di colore nero, respirazione irregolare”, nell’opera La misteriosa morte di René Descartes,giunse alla conclusione che la causa della morte di Cartesio non fu una polmonite ma un avvelenamento da arsenico. E ciò in virtù dei sintomi manifestati da Cartesio poco prima della sua morte: «perdurante singhiozzo, espettorazione di colore nero, respirazione irregolare»; tutti sintomi dovuti ad avvelenamento per arsenico. Una tesi ritenuta “estremamente probabile” dallo studioso tedesco M. Baum, editore della rivista “Kant-Studien”, studi kantiani, mentre Rolf Puster, uno dei massimi studiosi tedeschi di Cartesio, testimoniando l’”ottima reputazione” che lo stesso Ebert gode in campo scientifico. Puster dichiarò al settimanale di Amburgo che”il notevole grado di fanatismo di alcuni ecclesiastici” avrebbe avuto un ruolo determinante nell’intrigo che avrebbe portato alla tomba Cartesio.
    Sulla tesi dell’avvelenamento di Cartesio mediante arsenico, sostenuta da molti autori, tra cui il giornalista britannico David Yallop, autore del best-seller In nome di Dio, pubblicato nel 1984, ormai non ci sono più dubbi. E’ con questo mezzo, infatti, che Papa Alessandro VI e suo figlio Cesare Borgia hanno spedito parecchi loro nemici nell’aldila’. Non dimentichiamo che i Borgia (“Borja”in lingua spagnola) provenivano dalla Spagna dove evidentemente avevano fatte proprie le convinzioni del gesuita spagnolo Juan Mariana, morto nel 1624, il quale aveva sostenuto che, per eliminare gli “infedeli” l’arsenico era un mezzo lecito e indispensabile. Nel volume di Yallop viene anche rivelato che all’ottavo giorno della sua malattia, Cartesio, sospettando di essere stato avvelenato, chiese inutilmente (in quanto troppo tardivamente) che gli venisse somministrato del vino con dentro del tabacco, un miscuglio solitamente praticato per riuscire a vomitare. La dose di arsenico propinata a ripetizione per vari giorni al filosofo francese da parte dell’infernale Viogué si rivelò letale. Viogué sarebbe stato un degno personaggio della fantasia di Orson Welles (si pensi al suo film “ L’infernale Quinlan”), un personaggio a tal punto ambiguo e diabolico, malato di assolutismo e di fanatismo religioso spinti agli estremi, che si ritagliò su misura –senza remore e senza pietà- il ruolo spietato e malvagio di infallibile “mezzo della Provvidenza” –in un’ottica di assoluta innocenza del terribile peccato che stava compiendo con folle lucidità, al di là di ogni legge morale- per eliminare il “nemico” numero uno della Chiesa del suo tempo: Réné DESCARTES.
    Il quale, tuttavia, visto con la lente “a focale lunga” della Storia, in ogni caso avrebbe posto le premesse per “sdoppiare” una volta per tutte la filosofia scolastica dalla filosofia che, in suo onore, fu detta “razionalista” e sulla quale dovevano innestarsi sia l’Illunimismo, sia la filosofia di Kant, sia la filosofia di Hegel con le vicissitudini che la stessa “Provvidenza” volle mandare agli uomini durante le due Grandi Guerre del XX Secolo, soprattutto la Seconda, partorita dalle deviazioni dell’idealismo hegeliano, sfociate nei totalitarismi di sinistra con il comunismo stalinista e di destra con il nazismo hitleriano… (**) Questa tesi dell’avvelenamento di Cartesio fu avanzata anche nel 1996 da Eike Pies, che nel 1980 aveva frugato a lungo nell’archivio dell’università olandese di Leiden rinvenendovi una lettera del medico personale della regina Cristina che così descriveva a un amico dottore i sintomi del moribondo Cartesio: «emorragia allo stomaco, vomito nero, tutte cose che non hanno niente a che fare con la polmonite».
    Anche in questo caso, come del resto in innumerevoli altri fatti “storici” o fatti passare per tali da anonimi “falsari della Storia”, al di là del “teorema” secondo cui sono sempre i vincitori a fare la Storia, o proprio in virtù di tale “teorema”?, assistiamo ad una manipolazione della verità per fini a dir poco “machiavellici”, rivolti alla conservazione del potere politico-religioso (in questo caso) da parte del più grande e lungo “impero” che la storia degli ultimi tre millenni ricordi: l’impero cristiano cattolico di Roma, legittimato a suo tempo dall’Editto dell’imperatore Costantino.
    Quel che rimane dei resti di tale immenso impero è noto; quel poco che rimane dei resti mortali di Cartesio riposa a Parigi, nella chiesa di Saint-Germain-des-Prés.

    Note finali di attualità
    Nota (*) Ma – secondo alcuni- qualche avvelenamento (con mezzi più sottili dell’arsenico) si è verificato anche nel presente, per combattere “nemici” esterni o personaggi scomodi tra quelli più in vista nello stesso Vaticano. Come, ad esempio, nel presunto coinvolgimento del “veleno” nella morte di papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani (1912-1978) che, il 26 Agosto 1978, successe a Papa Paolo VI e che intendeva inaugurare il proprio pontificato, fondandolo sul “ritorno della Chiesa alla povertà e alla semplicità di Gesù Cristo”, subito entrò in violento contrasto con le mire capitalistiche del massimo responsabile dello IOR ( la Banca del Vaticano), il mai nominato cardinale, lo statunitense piduista Mons. P.C. Marcinkus (1922-2006) il quale –accecato dalle prospettive di ricchezze ad ogni costo si buttò a capofitto in spregiudicate e catastrofiche operazioni finanziarie a livello mondiale portando sull’orlo del fallimento lo stesso IOR- affermò apertamente: “Questo Papa non è come quello di prima, vedrete che le cose cambieranno”. E le cose cambiarono davvero molto presto. Il pontificato di Papa Albino Luciani durò solo 33 giorni, proprio il numero degli anni di Gesù Cristo, la figura alla quale egli avrebbe voluto ispirarsi nella conduzione della Chiesa alle soglie del Terzo Millennio. Non tutti sanno, però, che lo stesso Albino Luciani era già entrato in rotta di collisione con lo IOR di Marcinkus nel 1972 allorchè furono imposte delle transazioni da Marcinkus ai responsabili della Banca del Patriarcato di Venezia circa il trasferimento, non autorizzato dal Patriarcato, sul conto del Banco Ambrosiano di enormi somme di danaro. Il caso “ Marcinkus”, è ben noto, al punto che il termine “Marcinkus” è ormai sinonimo di quello che fu definito “il Crack del Banco Ambrosiano e lo scandalo dello IOR” e al quale restarono associate una serie di tragiche morti e di scomparse misteriose, a partire da quella del giornalista, scrittore e piduista Carmine “Mino”Pecorelli (1928- 1979, assassinato), fondatore dell’Agenzia d’Informazione OP –Osservatore Politico, assassinato con quattro colpi di pistola in quanto reo di aver indagato sull’”affaire Moro”, che fu molto probabilmente anche alla base dell’assassinio del generale Dalla Chiesa, fino alle morti del banchiere e finanziere piduista Roberto Calvi (1920.1982), trovato impiccato sotto un ponte del Tamigi), il banchiere piduista Michele Sindona (1920-1986, suicida in carcere) e fino alla misteriose scomparse della quindicenne Emanuela Orlandi (n.1968), cittadinanza vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, e, sempre nel 1983, di Mirella Gregori, coetanea della Orlandi, forse entrambe coinvolte, loro malgrado, in un “intrigo internazionale” degno del miglior Hitchcock. Ma se Giovanni Paolo I entrò subito nel mirino di Marcinkus, da un po’ di tempo a questa parte sembra che – come ha rivelato WikiLeakes di recente (Aprile 2011)- i rapporti tra il Vaticano e la Casa Bianca nell’era di Benedetto XVI ( già Cardinale Joseph Ratzinger) risultino minati, secondo gli USA, da un presunto ingresso del Vaticano nell’orbita economica-finanziaria della Germania piuttosto che in quella degli USA. Al punto che tra le due superpotenze, una religiosa e l’altra laica, si sono persino verificati scontri segreti non solo per le posizioni antisemite assunte da alcuni alti prelati del Vaticano, ma anche sugli accordi senza traccia per intervenire politicamente sull’ONU; e, se si pensa che il Vaticano, unica superpotenza, risulta accreditato presso ben 177 nazioni ( in molte delle quali gli USA sono stati emarginati), si comprende come il Vaticano, da potente amico, possa all’occorrenza trasformarsi in un potente nemico. Se poi si tiene conto che effettivamente la Germania, la cui riunificazione doveva, secondo le previsioni degli economisti di Reagan, (che allora (1984) temevano l’imminente “equiparazione” tra dollaro e marco!) condurre ad un depauperamento del potere d’acquisto del marco e ad una ripresa economica difficoltosa e molto lenta della Germania “unita”, già a partire dal 1989. Ma, contro ogni aspettativa, in appena un ventennio la Germania, ora “unita”, ha ripreso il suo ruolo di “locomotiva dell’Europa”, tenuto conto dei conti in rosso dell’economia americana, della perdita di credibilità anche a livello d’”intelligence”e del grave colpo psicologico subito l’11 Settembre 2002, a seguito dell’attacco terroristico da parte delle milizie di Al Qaeda di Osama Bin Laden, nonchè del potente sviluppo dei paesi asiatici dell’Estremo Oriente (Cina in testa), si comprende (da quest’altra angolazione) il “perché”gli USA stiano attraversando uno dei momenti più difficili sia all’interno che nei rapporti internazionali. Né è valso a qualcosa il recente raid in Pakistan che ha portato all’eliminazione fisica dello stesso Bin Laden. Il terrorismo non si sconfigge eliminandone il capo, ma l’intero corpo, che, com’è noto, gode di ottima salute e continua a minacciare e a tenere sotto scacco l’Occidente, dove regna ormai un clima di rassegnazione e di ansia che aleggia su un’economia sempre più alla deriva e sempre più incontrollabile col passare dei giorni, nonostante le massicce immissioni di enormi capitali freschi per “salvare il salvabile”!
    Nota (**)
    Una seconda Guerra Mondiale che, come il mostro marino di Jules Verne, ha esteso i suoi tentacoli sulla civiltà umana trasformando dapprima in nemici (la cosiddetta Guerra Fredda) gli stessi vincitori della Seconda Guerra Mondiale ed erodendo poi dal di dentro sia il blocco comunista sovietico (che ha cominciato a sbriciolarsi all’unisono con la caduta del Muro di Berlino nel 1989) sia il blocco capitalistico occidentale che oggi annaspa tra mille difficoltà e che tende a diventare sempre meno democratico e meno credibile e a trasformarsi ormai in una vera e propria “cassa di mutuo soccorso” tra i vari paesi satelliti ed ex-satelliti degli USA, compresa ovviamente la stessa Italia sia pure sotto l’”ombrello protettivo, ” bucato in vari punti, della Comunità Europea.
    Un’Italia in balia dei gruppi affaristici, a livello locale e internazionale, e che, ormai moribonda, annaspa nelle sabbie mobili del prestito pubblico e della disoccupazione galoppante e del fallimento “a ripetizione” delle piccole imprese (un tempo vanto tutto italiano!) che, priva di una corretta politica di sviluppo e vittima di una politica amorfa, sterile e senza idee, sembra ormai la brutta copia del negativo di una pellicola girata durante il “miracolo economico” dei primi anni Sessanta del secolo scorso. Un’Italia senza dignità e senza nocchiero, una barca in balia del vento dei capitali cinesi, tedeschi (di provenienza ebraica o ex-americani?) e mafiosi che con i loro immensi capitali causano paurose “oscillazioni” ed incertezze negli operatori di Borsa, in Italia ed all’Estero.
    Un’Italia ridotta politicamente a pura ombra “errante” tra i mulini a vento di “pazienti movimenti di protesta”, che nulla hanno di innovativo e di rivoluzionario da proporre, in quanto parti meccaniche guaste (frange di partiti) di un meccanismo più grande e ancora più guasto (gli stessi grandi partiti) dal quale vengono sempre più stritolati senza vie d’uscita…le famigli e le stesse imprese.
    Una crisi molto più acuta e più grave (in quanto riguarda quasi tutto l’Occidente) di quella americana del 1929 ( che ebbe carattere “locale”) sembra non più alle porte, ma nell’ingresso delle economie di vari stati, anche se nessuno sembra accorgersene sul serio e quei pochi che sembrano essersene accorti non riescono a “far quadrare nè il cerchio, né i conti”. Un meccanismo diabolico e autodistruttivo che si è innescato non solo a livello locale, ma anche a livello globale. Un meccanismo che, come il mostro di Verne, sembra paralizzare intere nazioni, Italia compresa, il cui popolo è sempre più politico-dipendente e sempre meno politico- intraprendente. Un’ Italia, quella di oggi, drogata dai falsi idoli del benessere, del consumismo e della corruzione dilagante ( a destra come a sinistra) in cui la quasi totalità degli Italiani ha sposato la filosofia del “tutto e subito” senza sacrifici : di qui il “puttanesimo” a cui ha fatto riferimento altrove l’amico Umberto Esposito. Una “moda” perniciosa, un modo di essere e di vivere completamente sbagliati, subentrati di soppiatto a quelli che dai più oggi sono considerati “vecchi” modelli sorpassati: quali la moderazione etica e morale e una visione della vita più sobria e vicina alla natura … Canoni sui quali era fondata (questa si!) la “sacra” istituzione familiare, ignorando completamente che l’etica e la morale di alcuni decenni fa costituirono la base della salvezza economico e finanziaria dei padri ri-fondatori dell’Italia del dopoguerra e ai quali bisogna ri-correre e ripristinare quanto prima per arginare le forze centrifughe e disgregatrici dell’io individuale prima e dell’io collettivo dopo. L’americanizzazione dell’Italia ha portato ai disvalori e alla perdita di ogni certezza sia in coloro che non ne avevano in partenza, sia in gran parte di coloro pur conservavano il ricordo delle idee, come nel mito della caverna di Platone, che avevano fatta grande l’Italia nel passato. Si ha la sensazione che molti illustri personaggi abbiano completamente perso la bussola nel presente rischiando di non vedere né la rotta attuale e neppure alcun orizzonte nel futuro imminente.
    Occorre fare un rapido esame di coscienza a livello generale. Occorre che la politica inverta la sua rotta, riorganizzi se stessa e selezioni in base al merito le nuove leve dirigenziali.
    Occorre onestà intellettuale a tutti i livelli.
    Occorre conquistare col sudore ciò che fino ad oggi è apparso facile conquistare col sorriso e con le larghe intese con la politica del “Todos Caballeros” (senza cavalli!), rifondando il modello familiare e le stesse istituzioni su canoni operativi e selettivi di merito effettivo e di investimenti adeguati e oculati, senza sperperare invano patrimoni e finanze pubbliche, senza fare il passo più lungo della gamba, senza mirare a “sbalordire” gli altri e senza pretese di consumismo “tanto per…consumare”!
    Ogni passo, ogni intento dev’essere razionale e razionalizzato, sia a livello personale che statale…sia nella politica interna che in quella estera.
    Solo in tal modo diventeremo “tutti per uno e uno per tutti” : un principio semplice, ma efficace, un principio-cardine delle realtà politico-economiche più organizzate e più produttive. Un principio senza il quale l’Italia sarà risucchiata inesorabilmente sempre più verso il basso… fino ad essere molto probabilmente inghiottita da un momento all’altro dai flutti e dai flussi dei capitali tedeschi e/o cinesi (già in agguato e presenti tra noi!) per essere proiettata, non senza dolori e non senza vittime, tra i paesi terzomondisti meno avanzati.
    L’Italia membro del G7 o G20?
    Potrebbe diventare ben presto solo un pallido ricordo e un riflesso oscuro su una parete buia: la parete della fame e della disperazione collettiva nel futuro a breve termine.
    Specialmente se si continua a procedere come se nulla stesse accadendo “intorno” a ciascuno di noi, “dentro” ciascuno di noi e “intorno e dentro” le stesse istituzioni civili e religiose.

    Nota (***) Il contenuto di questa nota (che non riguarda l’attualità) non viene riportato in questa sede. Si tratta della soluzione dello stesso problema di Pappo (già risolto da Cartesio per via analitica per r=4) da parte del matematico cervinarese ottenuta indipendentemente dalla Geometria analitica mediante il Secondo Principio Generale della Conoscenza. Il risultato è identico: si perviene in ambedue i casi all’equazione algebrica di secondo grado del luogo dei punti che soddisfano il problema proposto il cui enunciato è il seguente: “ Date tre rette a, b. c, da uno stesso punto P si conducono altre rette a’, b’ c’ a tali rette secondo angoli assegnati, alfa, beta e gamma, in modo che il rapporto tra il rettangolo formato da due dei segmenti che si ottengono mediante l’intersezione delle rette a’,b’,c’ con le rette date, e il quadrato costruito sul terzo segmento valga un valore m (positivo). Se le rette assegnate sono quattro, si cerchi il punto Q dal quale condurre ad esse altre quattro rette in modo che, assegnato m, esso uguagli il rapporto tra due rettangoli.
    Il problema per r=5 rette o per r=6 rette conduce a rapporti tra parallelepipedi. Dimostrare che per r=3,4 il grado n dell’equazione L del luogo è n=2
    News tratte dal Codex Cervinarensis a cura di U. Esposito (FINE SECONDA PARTE)

  5. umberto esposito ha detto:

    RÉNÉ DESCARTES (CARTESIO)-APPROFONDIMENTI FILOSOFICI DI ONOFRIO GALLO/1

    Premessa di Umberto Esposito
    Per gentile concessione dell’autore riportiamo dal Codex Cervinarensis (Sez. Filosofia) del matematico Onofrio Gallo (nato il 13 Maggio 1946 nella frazione di San Marciano di Cervinara) una sintesi sul rivoluzionario matematico e filosofo francese Réné Descartes (1596- 1650, avvelenato). Tale sintesi si trova nell’ Introduzione generale della “ Critica Armonica della Ragione Complessa”, primo volume della trilogia filosofica del matematico e filosofo cervinarese in cui vengono altresì esposte la sua “ Filosofia Armonica Universale” (Vol. II) e la sua “Scienza Armonica Universale” (Vol. III) sulla base del suo Secondo Principio Generale della Conoscenza, un principio, in base al quale, fa di nuovo capolino nelle varie branche del sapere il principio di causa-effetto, nell’originalissima veste di “principio armonico universale di causa–effetto di Gallo”, un principio sostenuto dal trio A. Einstein -N. Bohr -J. Von Neumann e tuttavia mai “compreso” a fondo o codificato in termini scientifico-matematici neppure dai maggiori filosofi e scienziati contemporanei.
    Si tratta, tanto, per dare un’idea, di un principio applicabile in tutte le discipline scientifiche e in ogni campo dello scibile umano, che in Matematica ha condotto, sulla base di una nuova e originale logica algebrica “non standard”, il suo Autore alle prime dimostrazioni a livello mondiale ad opera di un solo autore di numerosi e difficilissimi teoremi e congetture matematiche: quali, ad esempio, l’Ultimo Teorema di Fermat (27 Dic. 1993, Roma, in 6 pagine, prima dimostrazione originale), ora Teorema Mirabilis di Gallo e l’Ipotesi di Riemann (2005 e 2010, Oslo, in 7 righe, prima dimostrazione originale), ora Teorema RH-Mirabilis di Gallo. Ed ecco la sintesi su Cartesio di Onofrio Gallo.

    RÉNÉ DESCARTES (CARTESIO) : VITA PENSIERO E OPERE

    Il più grande matematico del XVII Secolo? Secondo Voltaire fu Réné Descartes (La Haye, 31 Marzo 1596- Stoccolma, 11 Febbraio 1650, avvelenato) il quale fondò il suo sistema delle conoscenze su due principi : il principio inerziale, diretta conseguenza della non conservazione del moto rettilineo e il principio di conservazione delle quantità di moto, diretta conseguenza dell’identità corpo-estensione e che, seppur estendibili in vari ambiti disciplinari, tuttavia non avrebbero mai potuto assumere o rivestire (come si vedrà) una “caratteristica universale”, come, invece, il filosofo e fisico-matematico francese riteneva.
    Né la sua “metafisica”, né in una parola il suo “sistema della conoscenza del mondo” e dell’uomo, per la verità sono mai riusciti a convincere i dotti della bontà delle sue tesi e della loro universalità.
    Né poteva Cartesio, per certi versi impregnato ancora di tomismo e di alcuni aspetti della stessa logica scolastica (esclusi beninteso i sillogismi) mai completamente superati o messi da parte che, in taluni squarci delle sue opere si affacciavano con prepotenza ( si vedano le meditazioni sull’Uomo e le sue passioni o su vari aspetti del pensiero legato all’etica e alla morale dell’uomo o le stesse lettere ai suoi interlocutori) creando un’incoerenza di fondo tra il suo preteso “razionalismo” (inteso come “mathesis universalis” ( base della conoscenza universale) e, proprio per tale motivo, ritenuto) fondante dell’intera sua concezione della conoscenza umana e le applicazioni del medesimo ai vari aspetti della realtà fenomenologica.
    Applicazioni indubbiamente non sempre “impeccabili” sul piano razionale, si pensi al ricorso da parte di Cartesio alla “ghiandola pineale”, meglio nota in medicina come “epifisi”, che ha sede nel cervello umano dove si troverebbe, secondo il filosofo francese, la sede dell’anima umana.
    Il fatto che tale ghiandola sia l’unica parte del cervello umano che, non essendo doppia, è in grado di unificare le sensazioni sensoriali (tutte “doppie”) con la res cogitans, il pensiero, che garantisce l’esistenza dell’io, rappresenta l’unico quid speciale posseduto dai singoli individui della specie umana ( ma non da quella animale e da quella vegetale!) tale da giustificare il punto di contatto tra Dio e l’Uomo.

    E ciò in quanto Dio, nella concezione cartesiana, è una realtà che sta, che esiste, al di là della Metafisica dell’Universo e delle sue leggi e quindi si trova al di là, in particolare, sia dell’Uomo che dei suoi problemi.
    Se così non fosse come si potrebbero spiegare il libero arbitrio dell’Uomo e la presenza della sofferenza e del male tra gli uomini sulla Terra?
    Tuttavia occorre evidenziare che Cartesio, il padre del cosiddetto “razionalismo” in campo filosofico, ha mostrato profondi limiti nel passare “razionalmente” dall’esistenza dell’Uomo al concetto di esistenza di Dio e viceversa.
    Infatti l’esistenza dell’io è fondata sul famoso “Cogito, ergo sum” , al quale egli pervenne per “illuminazione” dopo una lunga meditazione basata sul cosiddetto “dubbio metodico”: di tutto si può dubitare, tranne di chi sta dubitando, cioè l’io, che, pertanto esiste al di là di ogni ragionevole dubbio.
    Un’intuizione, piuttosto che un “principio”, dunque, quella alla base del “Cogito, ergo sum” cartesiano che, però, secondo Cartesio, rappresenta la garanzia dell’“esistenza” dell’Uomo, in quanto basata, a sua volta, sull’attività di elaborazione continua del pensiero che agisce anche durante il sonno. Occorre tener presente che, secondo Cartesio, l’Uomo è formato dal corpo (da lui identificato ad un automa, ad una macchina: da qui il “meccanicismo cartesiano”) e dall’anima che rende l’Uomo simile a Dio, anche se necessariamente limitato ed imperfetto: da qui l’accoglienza in seno alla Teologia cristiana di tale componente del razionalismo cartesiano.
    Ed il fatto che l’Uomo pensi all’esistenza dell’infinito non è forse indice dell’esistenza di qualcosa, di un Ente infinito, perfetto, al di fuori di lui e del Mondo?
    Ergo Dio esiste con tutti i suoi attributi di perfezione, salvo quelli che ne implicherebbero la “presenza” nel Mondo, come quello relativo alla coesistenza in Dio dello stesso dualismo assoluto tra res cogitans e res extensa presente, presente a livello metafisico nella filosofia cartesiana, un dualismo mai superato, anzi insuperabile per Cartesio in quanto tali due “res” non sono suscettibili di “identificazione” e quindi irriducibili ad un’entità unica.

    Dio esiste, nella filosofia cartesiana, da un lato in base ad un inespresso principio di verità fondato sul fatto che la resistenza di una verità al dubbio è segno di “verità”; e dall’altro lato, in base ad un altrettanto inespresso principio di complementarità tra l’esistenza di Dio da una parte e l’esistenza dell’io “dubitante” e imperfetto dall’altra, un “io” dotato, però, di idee innate; garanzia del possesso di quella struttura logica ( “facultas cogitandi” o “facoltà di pensare”) imposta alla mente degli esseri intelligenti da Dio, che in tal modo sono messi in grado di trovare in modo libero e autonomo (“libero arbitrio”) le necessarie connessioni esistenti tra i fatti reali, ma in via assolutamente indipendente dall’esperienza ; e ciò in virtù del razionalismo cartesiano.
    In tal modo è possibile “costruire” un “sistema del mondo” fondato su basi esclusivamente “razionali”, come dimostrano i risultati delle sue ricerche (incomplete) esposti nel suo trattato Le Monde ou Traitè de la lumière ossia Il Mondo o Trattato sulla luce); anche se non è da escludere che Cartesio, idealmente volesse estendere il significato di tale titolo ad un vero e proprio “Trattato sulla luce della ragione” che muove dai principi cartesiani citati in precedenza, introducendo anche la teoria dei vortici, come conseguenza dell’esistenza della materia eterea ( Cartesio nega l’esistenza di forze a distanza) che spiega in che modo al centro di tali vortici (che personalmente non vedo perché non possano essere identificati anche con i famosi attuali “buchi neri”) ruotano le stelle e i pianeti, in una coerente visione meccanicistica universale, sia pure fondata solo su un’ipotesi in seguito aspramente criticata da Newton che affermò “Hypothesis non fingo” ( Non presuppongo ipotesi) di tipo copernicana (eliocentrismo astronomico).
    Un’interpretazione della realtà del Mondo in cui il vuoto non può esistere in virtù del fatto che la materia è supposta divisibile “indefinitamente”, come già supposto da Giordano Bruno, il che, a sua volta, esclude l’”atomismo”, che come sappiamo è, invece, alla base dei successivi sviluppi della Scienza, anche se l’aver percorso fino ad oggi tale via non può essere in ogni caso garanzia di certezza assoluta nella conoscenza dei fenomeni del Mondo, in quanto, è anche possibile ipotizzare che, spinta agli estremi, la concezione atomistica o “particellare” del Mondo possa condurre la Scienza in un vicolo cieco.
    Il meccanicismo universale di Cartesio riduceva perciò, sia pure sottoforma di ipotesi, come in una “favola” secondo quanto afferma lo stesso Cartesio, per non urtare molto probabilmente le convinzioni antiquate dei dotti del suo tempo, riducendo in tal modo tutti i fenomeni naturali a funzioni fisico-matematiche di due soli parametri: la “materia” e i “moti locali”.

    Tale dualismo assoluto persiste e si manifesta, come già evidenziato, a livello metafisico (alla base cioè della struttura dell’Universo) tra la res cogitans e la res extensa, definibili anch’esse mediante un inespresso principio di negazione (la prima è ciò che non è la seconda e, viceversa, la seconda è ciò che non è la prima) in virtù dell’inferenza negativa che una concezione di Dio eventualmente fondata sull’identità tra res cogitans e res extensa avrebbe necessariamente implicato: l’ imperfezione di Dio.
    Dal momento che la res extensa non è, ad esempio, immutabile o perfetta al pari di Dio, se ne deduce, equivalentemente, che Dio è si il “Creatore” dell’Universo, ma è impossibile che ne sia anche il suo “Ordinatore”.
    Il concetto di “ordine” a livello metafisico (se esistesse) implicherebbe un analogo concetto di ordine a livello della materia e quindi tutta la materia e i suoi fenomeni, compreso ovviamente l’Uomo (per il quale non esisterebbe più alcun libero arbitrio), dovrebbero seguire necessariamente un ordine precostituito ad essi imposti dall’intervento divino iniziale.
    Ma in tal caso, oltre al già escluso finalismo di stampo scolastico-aristotelico (un universo ordinato equivale ad un universo necessariamente finalizzato, quanto meno a conservare in eterno l’ordine istituito da Dio nell’atto della sua creazione!); per cui la negazione dell’ordine precostituito a livello metafisico implica necessariamente la presenza del disordine nell’Universo.
    Il che è, termodinamicamente parlando, in perfetto accordo con il concetto di entropia (tendenza dell’Universo al disordine) in quanto la Scienza contemporanea dimostra che tale disordine non solo è prevalente, ma tende ad aumentare col trascorrere del tempo (crescita dell’entropia), per cui nell’Universo l’ordine è presente solo in talune “isole d’ordine”.
    Lo stesso sistema solare appare tale oggi ai cosmologi, agli astronomi ed agli astrofisici.
    Il che a livello deduttivo implica la “relatività” della scienza umana la quale, così come oggi è concepita, ad un’analisi profonda, non fornisce alcuna garanzia che le leggi valide nell’intorno dell’Uomo e del suo Universo possano essere estese e quindi risultare valide anche per altre “isole d’ordine” presenti in zone remote dell’Universo visto su larga scala.
    Ma allora in che modo risulta possibile giustificare tale disordine in ambito cartesiano? Semplicemente per il fatto che, secondo Cartesio, l’atto creativo dell’Universo da parte di Dio non contempla l’attributo dell’ordine universale.
    Ed è questo il motivo fondamentale, secondo Cartesio, in base al quale nell’Universo il disordine “prevale” sull’ordine, anche al di là della sua teoria dei vortici, ai quali si può pensare di associare un particolare concetto di ordine stabilito in base alla forma e alle leggi che governano la rotazione della materia intorno ai loro centri.
    L’esistenza del disordine nel Mondo (oggi identificato col Caos) per Cartesio costituisce altresì garanzia del libero arbitrio dell’Uomo, in quanto libero essere pensante razionalmente che indaga sulla stessa conoscenza umana fondata sulle idee (razionali o) “innate” presenti in lui e che, secondo Cartesio, si articolano in un metodo d’indagine sul Mondo, che, in quanto da lui ritenuto “metodo generale”, può essere assunto dall’Uomo come criterio guida e base della sua speculazione scientifica sul Mondo.
    Un metodo esaltato a più riprese storiche, anche prima di Cartesio, anche se in modo “vago”, da numerosi autori del passato, anche recente rispetto all’epoca di Cartesio, ma che solo Cartesio pone su basi razionali fondandolo su principi che il filosofo di La Haye ritiene (erroneamente, come si dimostrerà altrove) “universali” , i quali lo inducono ad identificare il “suo” metodo con il “metodo universale” fondamentale per la conoscenza del Mondo;una specie di “pietra filosofale” degli Alchimisti, invano cercata dai suoi predecessori.
    L’errore più grave di Cartesio? E’ stato quello di autoconvincersi a tal punto della “bontà” del suo metodo fino a spingersi ad omologare ( sta per “ identificare”) il “suo” metodo (relativo) con il “ metodo universale “ (assoluto) ancora oggi ignoto alla Scienza in quanto, come esporremo altrove, essa è ancora molto lontana dall’individuare taluni principi fondamentali.
    Del resto, ancora oggi, le scoperte della Scienza non sono forse le tappe del cammino rappresentato dalle faticose conquiste scientifiche relative alle “isole d’ordine” presenti nel “nostro” Universo, a partire da Archimede fino a Galileo e oltre per finire al Modello Standard e alle teorie di unificazione delle quattro forze fondamentali della materia di cui tanto si discute ai giorni nostri spingendosi fino alla creazione di “modelli”, come la M-Theory di Ed Witten, una teoria esclusivamente matematica, molto elegante, ma che ha il non trascurabile difetto di sfuggire ad ogni prova di tipo sperimentale dal momento che essa prevede fino a undici dimensioni per l’universo?
    Come si può arguire, però, il passaggio cartesiano già analizzato da Dio alla Metafisica, che è alla base della conoscenza delle leggi della natura e dell’Universo (o “Mondo”), disgiunto dal concetto di Dio, è un “salto razionale” o se si vuole una “discontinuità” del pensiero filosofico cartesiano mai colmata dal filosofo francese e neppure dai successivi sistemi filosofici che a tale filosofia si sono ispirati.
    Né ancora oggi la Scienza contemporanea sembra essere riuscita a venire a capo dell’enigma in base al quale, partendo dai principi finora adottati su larga scala nell’ambito della ricerca scientifica, non appena si scopre il substrato sperimentale di certi fenomeni fisici, subito dopo si assiste immancabilmente alla nascita spontanea (che definirei come un vero e proprio paradossale effetto- “big- bang” della conoscenza) di altri e più numerosi problemi di quanti in precedenza se ne erano o si sperava di aver risolti.
    Il che si verifica sistematicamente come in un gioco caleidoscopico della conoscenza dei nostri tempi, caratterizzata appunto dall’interminabile ciclico alternarsi tra ciò che non sapevamo alcuni secoli, decenni o anni prima e ciò che non sappiamo (e che in genere è molto più difficile da spiegare) alcuni attimi dopo la scoperta.
    Non fu un caso dunque, se, proprio per tale motivo, i risultati delle speculazioni cartesiane non poterono mai essere estese da Cartesio alla Teologia del suo tempo, anche al di là del “proibizionismo ecclesiastico” il cui emblema fu rappresentato a quei tempi dalla Sacra Inquisizione, istituita come scudo protettivo di una Teologia stretta nella morsa della logica scolastica e del tomismo allora dilaganti e della quale – in virtù del richiamato “proibizionismo”- a quel tempo, senza l’imprimatur ecclesiastico, non era consentito ai filosofi, ai logici e agli scienziati , e perfino agli stessi teologi, di tentare di sovvertire anche in minima parte taluni principi della Scienza che potessero avere ripercussioni anche indirette sulla teologia imperante.
    Per tale motivo quelli più esposti agli interventi della Sacra Inquisizione furono soprattutto quei “dotti” ( come Giordano Bruno, Copernico, Galileo e lo stesso Cartesio per citarne solo alcuni) che osavano addentrarsi in problemi situati al confine tra Scienza e Fede con trattati “scientifici” sulla base di “nuovi principi” razionali come quelli presenti sia nel sistema filosofico cartesiano sia nella nuova teoria eliocentrica di Copernico, immediatamente bandita dai teologi e dagli pseudo scienziati di derivazione scolastico-aristotelica, sia nelle teorie sperimentali di Galileo, la cui colpa più grave forse fu quella di aver scoperto le prime quattro “lune” di Giove. Una scoperta che, affiancata all’eliocentrismo copernicano, scardinava le certezze pseudoscientifiche (teologico-tolemaiche) dei dotti del tempo.
    E dire che anche la filosofia scientifica di Cartesio conteneva interamente sia gli uni che gli altri “principi”!
    Teoricamente per uno studioso sarebbe stato anche possibile intervenire in dispute teologico-scientifiche a quel tempo, semprechè i “nuovi” principii non escludessero o cancellassero o rinnegassero del tutto quelli “antichi” e coloro che tali principi avessero adottato non fossero essi stessi dotti o“teologi” riconosciuti dalla Chiesa.
    Ma in tal modo, si domandava Cartesio, sarebbe stato mai possibile per lui innovare la conoscenza del Mondo?
    Non si deve dimenticare che la nuova epistemologia cartesiana e il suo “metodo” rappresentavano un originale e nuovo tentativo di codifica di principi innovativi che ridicolizzavano per certi versi i “ metodi” (non cartesiani, al di là dei metodi sperimentali di Galileo che Cartesio ben conosceva) alla base delle scoperte note fino ai tempi di Cartesio; senza tener conto delle nuove scoperte fatte dallo stesso Cartesio utilizzando il suo metodo e che dovevano costituire, secondo il filosofo di La Haye, la massima garanzia delle nuove possibilità offerte dall’applicazione del suo metodo nell’ambito della conoscenza scientifica dei suoi tempi.
    Il che avrebbe, di conseguenza, dovuto favorire, senza pregiudizi, la diffusione ( cosa che si verificò anche molto gradualmente) e l’accettazione da parte della comunità scientifica del suo tempo sia del suo “metodo” sia della sua filosofia, cosa che non avvenne mai del tutto nel corso della vita del filosofo francese.
    La pretesa di Cartesio di imporre un’ “accelerazione” ai saperi del suo tempo non teneva tuttavia in debito conto la lentezza richiesta da certi processi storici legati allo sviluppo e all’accelerazione delle conoscenze che comportano cambiamenti di paradigmi nel seno della comunità scientifica mondiale.
    Un fenomeno che soggiace alle Leggi di Conservazione dell’Ignoranza e che si è verificato anche nel nostro caso al momento della dimostrazione dell’Ultimo Teorema di Fermat mediante un metodo generale fondato su due nostri principi estremamente innovativi.
    Il filosofo francese pretendeva dunque, quasi con un atto di sfida ai più dotti del suo tempo, che la sua nuova filosofia della conoscenza venisse accettata hic et statim ( qui e subito) e venisse insegnata nelle più importanti università (cosa già che si era verificata grazie a certi dotti amici di Cartesio, i quali non pochi pericoli corsero nel fare ciò, costretti quasi subito a rinunciare ai loro progetti di innovazione del sapere) nonostante egli fosse ben conscio che dalla sua filosofia traspariva in modo fin troppo evidente il ripudio delle “qualità” (espresse con parole) come verità assolute, e nonostante il fatto che il suo “metodo” mirasse alla rappresentazione universale della realtà e di Dio fondata esclusivamente sulla razionalità e sul conseguente definitivo abbandono di “ragioni ad hoc” che, in luogo di spiegare, a loro volta, dovevano essere spiegate.
    Scrive a tal proposito Cartesio:
    “ Mi resi conto che quanto alla logica, i suoi sillogismi e la maggior parte dei suoi precetti servono più a spiegare agli altri quanto già si conosce o addirittura- come l’arte di Lullo- a parlare senza discernimento delle cose che s’ignorano per insegnarle agli altri”( Opere, VI, 17).
    I limiti imposti dalla Sacra Inquisizione semplicemente costituivano un’invalicabile barriera per la nascita, l’edificazione e la diffusione di nuove teorie fondate su idee innovative e “rivoluzionarie”, quali allora dovettero apparire, senza se e senza ma, quelle del filosofo
    francese; e ciò anche nel 1637 quando apparve il suo Discours nel quale figura, sottoforma di “appendice”, la sua rivoluzionaria Geometria analitica.
    Ma fu proprio perché le rivoluzionarie idee filosofiche cartesiane fecero la loro comparsa in tale ambito ristretto che esse passarono senza traumi di sorta al vaglio dei dotti e dei teologi e, molto probabilmente, dovettero procurare anche grande piacere a vari uomini di scienza e ai matematici del tempo, anche a quelli tra essi che si annidavano tra gli stessi Gesuiti, grandi ragionatori per antonomasia.
    Ma tale piacere, se vi è stato, non sarà mai svelato da nessuno.
    Quindi, se le idee rivoluzionarie cartesiane –inizialmente prevalentemente di tipo matematiche e fisiche- furono tollerate dai filosofi e dai teologi schierati e, più in generale, accettate da vari esponenti che facevano parte della cerchia della intellighenzia della sua epoca, la cosiddetta Respublica literaria, esse furono anche aspramente criticate e attaccate dai dotti più rappresentativi ed autorevoli del suo tempo, i quali, se in un primo tempo si limitarono solo a discettare e confinarono i loro interventi solo in ambito speculativo, fu solo perché le idee cartesiane non facevano parte di un’opera o di un corpus filosofico ben definito dal quale si potesse evincere che egli mirasse effettivamente a sovvertire il vecchio paradigma delle conoscenze fondate sulla logica aristotelica al pari di quella scolastica e a creare un nuovo paradigma delle conoscenze, in base al quale porre nuove basi per la spiegazione razionale dell’idea di Dio e dell’ edificazione altrettanto razionale del Mondo, dell’Uomo e della sua Fede.
    Le critiche e gli attacchi di tali dotti si trasformarono, non appena Cartesio pubblico alcuni “capitoli” più estesi e rappresentativi del suo rivoluzionario“progetto” filosofico, in veri e propri tentativi di mandare al rogo sia le opere che l’autore di quel progetto rivoluzionario che così apertamente sfidava l’ordine costituito, non solo religioso, ma anche sociale, secondo i più feroci nemici di Cartesio; tenuto conto che a quei tempi le dispute potevano addirittura sfociare, e molto spesso di fatto sfociavano in veri scontri, anch’essi ciclici, tra protestanti e cattolici, intrisi sempre più spesso di vendette, rivolte e violenze represse dagli eserciti nel sangue.
    Gli attacchi sfrontati, in prima persona o ricorrendo all’anonimato, come in genere avveniva ed avviene ancor oggi, in tali casi, alla nascente dottrina filosofica cartesiana quando questa cominciò a delinearsi in modo più articolato e leggibile non tardarono a manifestarsi con una virulenza estrema.
    La “condanna” della rivoluzione cartesiana metodica e filosofica ebbe momenti di alta tensione e drammaticità: il che si verificò almeno due volte apertamente.
    Ma vi fu molto probabilmente anche una “terza volta” (non riportata né nelle croniche del tempo né negli annali della storia e di cui diremo altrove a proposito della morte di Cartesio) nel corso della quale i suoi nemici riuscirono a liberarsi per sempre dello scomodo filosofo “metodico”.
    Ma quali furono le “tappe” del cammino che condussero Cartesio alla scoperta dei suoi principi e alla loro applicazione in vari ambiti, partendo dalla stessa esistenza di Dio, dalla Metafisica per giungere, da un lato, alla spiegazione del fenomeni viventi, primo fra tutto l’Uomo, con la sua imperfezione, i suoi limiti temporali, le sue passioni e, dall’altro lato, a porre le basi razionali per la sua conoscenza scientifica del Mondo?
    Se è vero che la scoperta dei vari principi cartesiani avvenne su basi logico-matematiche e fu fatta da un matematico che per vari anni volle restare nell’ombra, adottando il principio della “maschera” per ben confrontarsi con gli studiosi e i dotti della sua epoca, iscrivendosi ai corsi di varie università per approfondire particolari aspetti della sua futura dottrina al fine di correggere o eliminare del tutto le imperfezioni ancora in essa presenti onde orientare al meglio la sua ricerca della verità fondata sulla razionalità, tutto ciò traspare dal seguente passo di Cartesio:
    “I commedianti, affinchè non traspaia sul loro volto il rossore della vergogna, quando sono chiamati in scena, indossano la maschera; anch’io, al momento di entrare in questo teatro del mondo, dove ho vissuto sino ad oggi la parte di spettatore, procedo mascherato” ( Opere, X, 213).

    Fu con tale “maschera” e con tali intenti che egli nel 1618, a 22 anni, si arruolò nell’esercito olandese protestante agli ordini del principe Maurizio di Nassau-Orange, in conflitto con gli Spagnoli, alla cui corte sperava di rapportarsi con i molti dotti che la frequentavano, e, non a caso diventò “amico” affascinato del matematico e studioso olandese Isaac Beeckman che lo indirizzò alla ricerca esercitando su di lui un’autorevole influenza, rinnegata però solo undici anni dopo circa (1630).
    Tanto ampio era stato l’arco di tempo a partire dal 1619, quando, lasciato il principe e l’ amico Beeckman, nello stesso anno si arruolò nell’esercito cattolico (questa volta) del duca Massimiliano di Baviera, partecipando alla presa di Praga e ad una spedizione in Ungheria, trascorrendo poi, a Neuberg, sul Danubio, un periodo di vari mesi di profonda solitudine, al termine del quale, il 10 novembre 1619 scoprì i fondamenti di una scienza “mirabile”, più tardi (11 novembre 1620) così esaltata:

    “ coepi intelligere fundamentum inventi mirabilis”
    (“ cominciai a comprendere l’essenza di una scoperta mirabile”).

    Tutto ciò esattamente un anno prima della vittoria della Montagna Bianca dello stesso Massimiliano di Baviera sul cosiddetto “re d’inverno” Federico V, elettore palatino e padre della colta e dotta principessa Elisabetta della quale il filosofo francese diventerà intimo e “ragionevole” amico.
    Tra il 1623-25 Cartesio, pur disprezzando l’Italia per il clima sociale e ambientale, fu a Roma, a Venezia, a Firenze e compì un pellegrinaggio a Loreto.
    In tale viaggio entrò in contatto con i maggiori dotti italiani occupati come non mai a quel tempo a discutere le tesi e gli esperimenti di Galileo, che tuttavia Cartesio non incontrerà mai.
    Tornato in Francia, tra il 1625 e il 1628, scrive le ventuno Regole per la direzione dell’ingegno (Regula ad directionem ingenii) e s’inserisce, in virtù della sua fama di fisico-matematico, nel più colto e animato circolo universale del sapere del suo tempo, il circolo fondato dal padre minimo Marin Mersenne (1588 -1648), uomo coltissimo ed egli stesso ricercatore di valore, definito “secrètaire de l’Europe savante” (“segretario dell’Europa sapiente”), autore di svariate opere non comuni per temi ed interessi e la cui corrispondenza con gli uomini dotti e di scienza dell’Europa di allora occupa ben sette volumi, che, sotto l’egida dello scudo protettivo del re francese Luigi XIII e in un clima di apparente e libero riformismo , creato ad arte e voluto fortemente dal Cardinal de Richelieu, al secolo Armand Jean du Plesssis (1585-1642), d’intesa con gli stessi poteri forti della Chiesa, in primis i Gesuiti, con il precipuo intento di ristabilire il più puro conservatorismo per riportare in auge quanto prima possibile in tutta la sua valenza politico-istituzionale le sorti del sovrano Luigi XIIII il cui prestigio e la cui autorità politico-religiosa era oggetto di critica, in libelli dapprima anonimi e clandestini, in seguito sempre più palesi e sfrontati, di continui attacchi e contraccolpi in ambito sociale da parte dei dotti atei e libertini francesi, dei quali si era occupato anche lo stesso padre M. Mersenne (Athées et libertins de ces temps o “Atei e libertini di questi tempi”), forse uno dei motivi per cui Cartesio non fu mai vero amico di Mersenne, nonostante questi si tenne sempre informato sul conto dello scienziato e filosofo francese fino al momento della propria morte nel 1647.
    Ricordiamo che lo stesso cardinale Richelieu aveva promosso l’istituzione dell’Académie des Belles Lettres di Parigi nel 1635 e che, più tardi, nel 1666, lo stesso J.-B.Colbert (1619- 1683), politico ed economista francese, creò anche la prestigiosa Académie des Sciences di Parigi, a partire da quella che era stata una vera e propria “Accademia” ante-litteram, il famoso “Circolo di Mersenne”, del quale fece parte lo stesso Cartesio, oltre a favorire lo sviluppo del mercantilismo e a migliorare lo stato delle finanze francesi, e che, tra le altre sue imprese, creò anche il Ministero della Marina di cui fu per primo a capo.
    Trascorso l’inverno del 1628 a Parigi, Cartesio partì per l’Olanda nel marzo del 1629 e si stabilì a Franeker, iscrivendosi il 26 aprile all’Università di quella città ufficialmente per frequentarvi i corsi di filosofia, ma molto probabilmente per seguire i corsi del matematico Adrien Metius, fratello di Jacques Metius che, secondo Cartesio, fu il primo ad inventare il cannocchiale.
    Nel 1630, anno in cui inizia ad elaborare l’opera Le Monde ou traité de la lumière che avrebbe dovuto racchiudere la propria filosofia naturale, s’iscrive all’Università di Leida, dove di certo ebbe modo di assistere alle spettacolari lezioni di anatomia tenute nel famoso anfiteatro di anatomia umana, da quello stesso professor Nicolaes Tulp, titolare della locale cattedra di anatomia, immortalato in un suo celebre dipinto, La lezione di anatomia del dottor Tulp (1632) (che intendeva celebrare l’apoteosi del connubio tra la pittura e la medicina) dal celebre pittore e incisore olandese Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida 1606-Amsterdam 1669), mentre esegue la dissezione del corpo di un giustiziato (tale Adrian Adrianeszoon detto “Het Kindt”, ben noto criminale impiccato ad Amsterdam nel mese di gennaio del 1632) evidenziando appunto in quella sua lezione anatomica il parallelismo tra il funzionamento dell’articolazione dei tendini della mano del medico e quello analogo del pittore quando usa il pennello per dipingere i suoi quadri.
    Nel 1633, appresa la condanna di Galileo, Cartesio sospende all’istante l’idea di pubblicare il suo trattato Le Monde (Il Mondo) anch’esso fondato, come tutta l’opera di Galileo, sulla teoria copernicana avversata per principio dai più influenti e noti dotti del tempo e dai poteri forti ecclesiastici.
    Da questo momento in poi, e per un lungo periodo, solo Mersenne conosce i luoghi e gli spostamenti dello scienziato e filosofo francese.
    Lo stesso Discorso sul Metodo (il cui titolo iniziale era Disegno di una scienza universale capace di elevare la nostra natura alla più alta perfezione) viene pubblicato, in francese, nel 1637 a Leida cautelativamente in forma anonima, congiuntamente a tre saggi scientifici La Diottrica, Le Meteore, La Geometria, dei quali costituisce la prefazione.
    Il Discorso , del quale seguirà una edizione in latino nel 1649, è quindi da considerarsi come un tutt’uno con i suoi Saggi.
    Il titolo originale prova questo intento di unitarietà dell’opera: “Discours de la méthode pour bien conduire sa raison, et chercher la verité dans les sciences Plus la Dioptrique, les Meteores, et la Geometrie qui sont des essais de cete Methode” (Discorso sul metodo per un retto uso della propria ragione e per la ricerca della verità nelle scienze più la diottrica, le meteore e la geometria che sono saggi di questo metodo.).
    In tale opera Cartesio scrive:

    “Dovrò mettere alla prova queste regole, le dovrò investire con un dubbio assoluto e non semplicemente matematico, e se ne escono fuori intatte vorrà dire che esse sono le regole della scienza unica, assoluta che avevo intuito.
    Cioè di una scienza che va oltre la matematica e a cui posso riportare ogni e qualsiasi tipo di realtà. Così attraverso la matematica ho ricavato delle regole che non sono solamente valide per la matematica, come credeva Galilei con il suo metodo sperimentale, ma che potrebbero costituire le regole del metodo di una scienza unica”

    Pertanto, dopo una simile scoperta straordinaria, Cartesio ritiene che non può non far conoscere al Mondo i suoi studi e i suoi strabilianti risultati contenuti nella Diottrica, nelle Meteore e nella stessa Geometria (analitica): la più grande rivoluzione scientifica in ambito matematico nella Storia dell’Uomo.
    Tuttavia, proprio perché si trattava di una rivoluzione di enorme portata, occorreva proteggere in qualche modo il suo Autore che, benché anonimo, non era inverosimile che egli non fosse individuato con una certa facilità, soprattutto da parte di quei dotti che erano già parzialmente in possesso delle sue lettere e che a lungo si erano interessati di lui.
    Tuttavia egli doveva correre il rischio.
    Non correre tale rischio avrebbe costituito per Cartesio una grave incoerenza logica con quelli che erano i suoi principi e gli intenti di fondo di tutta la sua filosofia: cambiare il modo di pensare della gente e instillare il dubbio metodico, accanto al metodo sperimentale di Galileo, che pur condannato, continuava ad avere contatti col mondo esterno.
    Le cose presero apparentemente una piega positiva, dal momento che nessuno lo aveva “individuato” e se è vero che lo stesso Cartesio, nel 1639, compose le Meditazioni sulla prima filosofia, pubblicate nel 1641 a Parigi, complete delle Obiezioni e Risposte (si tratta delle sei risposte ad altrettante obiezioni di vari e influenti uomini di cultura, tra cui Gassendi e Thomas Hobbes), e nel 1642 ad Amsterdam, compresa la settima obiezione e la lettera a Dinet di cui si dirà più avanti.
    Nel 1648, poco prima della morte di Mersenne, già in gravi condizioni di salute, alla luce degli ultimi eventi propiziati dalla crescente pressione fiscale, dalla rimessa in discussione dei privilegi dei parlamentari parigini e dall’intenzione del monarca di governare da solo, nel quadro di una monarchia assoluta, che sarebbero sfociati in un movimento di protesta popolare, la cosiddetta” Fronda”, Cartesio, allora a Parigi, conscio del clima sociale instabile venutosi a creare in Francia con l’avvento del Cardinale Richelieu, si trasferì per circa venti anni in Olanda (le cosiddette “Province Unite”) dove resterà dal 1228 al 1648.
    La Fronda prese il nome da fronda che in francese significa “fionda”, dal nome dell’arma utilizzata dal popolo parigino per distruggere i vetri delle finestre degli appartamenti del cardinale Richelieu nei moti di protesta iniziati il 10 luglio1648 con la Dichiarazione dei 27 articoli da parte del Parlamento di Parigi nei quali si enunciavano la limitazione dei poteri del sovrano preparando di fatto la trasformazione del regime in una monarchia parlamentare e terminati il 3 agosto1653 con la Sottomissione di Bordeaux.
    Nel 1644 Cartesio pubblica ad Amsterdam i Principia philosophiae.
    Nel 1646 entra in duro conflitto con l’allievo infedele Regio, si reca in Francia (visita a Pascal già infermo), stringe di nuovo rapporti di amicizia con Gassendi.
    Nel 1648 con le sue Osservazioni su un certo manifesto, Cartesio rintuzza gli attacchi del dotto Regio.
    Nel 1649 pubblica Les passions de l’âme (Le passioni dell’anima).
    Dal 1657, postume, furono pubblicate le lettere di Cartesio che formano le sue Correspondances, una ricca e interessante raccolta di lettere, in cui è possibile accedere direttamente allo studio delle opere matematiche di Cartesio, in quanto è in esse che Cartesio, rispondendo agli attacchi dei suoi nemici deve chiarire al massimo il significato del suo pensiero.
    Per quanto riguarda la sua Géometrie (o Geometria), essa è divisa in tre libri.
    Nel primo viene presentato un problema di Pappo (***), nel secondo sono presentate le ricerche sulle linee curve e relativa genesi, nel terzo appaiono considerazioni sulle radici delle equazioni algebriche.
    Stranamente in tale saggio non figurano né l’equazione della retta ax+by=c, né altre nozioni e formule che appariranno in seguito a cura di altri matematici.
    Dopo l’edizione latina (1649), tra il 1659 e il 1661 apparvero i due volumi commentati dai matematici Florimond Debaune, F. Schooten, G. Hudde, E. van Heuraet e il prezioso trattato di G. de Witt, in cui vengono discusse le equazioni delle rette e delle coniche.
    Tali due volumi si possono considerare non solo una vera e propria introduzione allo studio della Geometria analitica moderna, ma, includendovi anche gli studi e le ricerche di Pierre de Fermat sui massimi e minimi, anche una vera e propria introduzione al calcolo differenziale e integrale.
    Il disegno cartesiano di arricchire la sua formazione viene diviso da qualcuno in tre fasi distinte.
    La prima quando, a undici anni entra nel Collegio dei Gesuiti di La Flèche, da poco istituito con privilegio del re Enrico IV (tra la fine del 1603 e il 1604); la seconda di approfondimento e specializzazione fisico-matematica, la terza di approfondimento filosofico- sistematica in cui, oltre a confrontarsi, senza maschera, con coloro che –resosi conto delle sue mire e del suo progetto filosofico- lo criticarono apertamente o lo attaccarono cercando di farlo cadere, mentre si trovava in Olanda già da vari anni, nella fossa dei leoni della Sacra Inquisizione; correndo un pericolo enorme dal quale riuscì a salvarsi solo per un provvidenziale e tempestivo (17 Ottobre 1643) intervento in suo favore dell’ambasciatore di Francia presso il principe d’Orange a Graswinckel. (FINE PRIMA PARTE) -News a cura di U. Esposito

  6. umberto esposito ha detto:

    I NUOVI PRINCIPI UNIVERSALI DI GALLO
    Premessa di U. Esposito
    Una lezione di stile.
    Il messaggio racchiuso nel breve passo dell’Introduzione alla trilogia del matematico Onofrio Gallo, ma in questo caso come non definirlo “filosofo”?, e che riportiamo più avanti per gentile concessione dell’Autore, mi ha suggerito qualche considerazione che alla fine diventa anche un suggerimento politico per i politici nostrani che si sono rivelati non solo insensibili ma direi anche, a ben guardare, incapaci di vedere quello che non vogliono vedere ad ogni costo!
    Occorre dunque, secondo la filosofia armonica di Gallo, fare pulizia di certi modi di pensare e di certi comportamenti asociali da parte dei governanti, spezzando quanto prima interconnessioni di stile mafioso tra politica, lobbies e istituzioni, in Russia come in Italia, in USA come in Germania e altrove, spazzando via falsi miti illusori del consumismo, della ricchezza ostentata, degli interessi personali in campo pubblico e di una seria politica riformista da porre alla base della “nuova società” ri-organizzata e ri-moralizzata, liberata dal “puttanesimo” e dalla corruzione dilagante ad ogni livello, abbattendo definitivamente le barriere tra ricchi e poveri, tra paesi ricchi e paesi poveri ; restaurando i valori fino ad oggi negati alle minoranze e ai poveri, calpestati dai gruppi di potere in modo belluino e disumano, ripristinando i valori dell’istituzione familiare, il senso di coerente appartenenza allo Stato, al Mondo e alle nuove inderogabili LEGGI necessarie per realizzare la “repubblica” dell’Umanità, nella quale deve regnare l’onestà, l’impegno, la collaborazione e la distribuzione equa delle risorse e delle ricchezze sia a livello locale sia a livello globale, attenuando e correggendo i disvalori prodotti dalle ideologie imperanti fino ad oggi e che hanno condotto i nostri sogni e le nostre speranze sull’orlo dell’abisso.
    La diminuzione delle tasse in questo tempo di crisi è possibile solo se si eliminano spese inutili e solo se si attua una politica attiva e fattiva, impegnando i disoccupati, i carcerati e i diseredati in occupazioni settoriali produttive (ad esempio in agricoltura) in grado di creare autonomia dalla continua assistenza statale e porre le basi per un sicuro avvenire dove il welfare non sia un gioco aleatorio e un diritto che si trasforma all’improvviso in pura illusione.
    Non serve costruire carceri: si tratta di una convinzione errata inutile controproducente e pericolosa.
    E’ sufficiente responsabilizzare e consorziare i vari istituti di pena, assegnando a ciascun consorzio un tot numero di ettari di terreno “di pubblica utilità” in cui sviluppare, con l’assistenza non gratuita da parte dello Stato, di utensili, macchinari e quant’altro per produrre un tot numero di tonnellate di prodotti agricoli all’anno provenienti da colture pre-programmate mediante un programma generale di sviluppo studiato da esperti del settore atto a favorire e incrementare la crescita morale dei detenuti e l’autonomia economica e finanziaria degli stessi istituti di pena.
    Il risparmio per lo Stato sarebbe enorme e i guadagni derivati dai commerci della sovraproduzione così realizzata sarebbero ridistribuiti in parte agli stessi detenuti e in parte ai ceti sociali più bisognosi.
    Non occorre costruire carceri, in quanto sarebbe sufficiente programmare le attività lavorative dei detenuti (a rotazione) su tre turni giornalieri di otto ore ciascuno, in modo da svuotare costantemente di un terzo (circa ventimila posti su una popolazione carceraria di circa 60 000 individui in Italia) gli spazi attualmente disponibili.
    Il pagamento dei secondini e delle spese di ogni singolo istituto di pena, al pari di un simbolico “soldo” giornaliero ai singoli detenuti, utile per il loro reinserimento in ambito sociale dovrebbe essere una funzione del bilancio degli introiti annuali, non senza perdere di vista i disoccupati ( giovani e non) che, a livello locale, potrebbero “dare anch’essi una mano” dietro un minimo compenso orario giornaliero che consentirebbe loro di arrotondare l’eventuale sussidio di disoccupazione di cui eventualmente già godono.
    Questo suggerimento esemplificativo fa comprendere che, se si vuole, risparmiare ed abbassare le tasse si “puote”, si può e si deve!
    Yes, We Can, We Must! Si, noi possiamo, noi dobbiamo!; possiamo e dobbiamo sul serio correre ai ripari intervenendo razionalmente non solo tagliando con criterio sulle spese folli, ma soprattutto creando posti di lavoro laddove- nel nostro esempio delle carceri- in precedenza si riteneva di dover creare solo altri posti-letto o posti-dormitorio per detenuti in “nuove” carceri e in nuove strutture carcerarie che chissà quanto sarebbero costate o costerebbero ai contribuenti, come si è cercato di far capire a chi deve capire (ed è meglio che capisca subito quel che c’è da capire!).
    Alla luce di quanto detto sopra tali opere si sarebbero rivelate e si rivelerebbero in ogni cado inutili costose e controproducenti, in quanto facenti parti di un programma politico errato in partenza.

    Riportiamo ora lo “stellone” e la parte finale dell’Introduzione generale che precede il trattato logico-filosofico di Onofrio Gallo costituito dalla trilogia: I -Critica armonica della ragione complessa; II- Filosofia armonica universale;III -Scienza armonica universale. Tale trattato si fonda sul Secondo Principio Generale della Conoscenza di Gallo ed è contenuto nel suo Codex Cervinarensis(Sezione Filosofia).

    “Nello Specchio si toccano l’Essere e il Divenire
    Il negativo e il positivo si annullano…
    E’ lo Specchio un Giano bifronte?
    Indecifrabili universi rachiudono il Fato?
    “Non esistono ferree leggi tra cause incausate ed effetti”
    Pensa qualcuno erroneamente ed anche qualche Altro…

    Nel fuoco della “stella”
    Troverai invero il vero
    Chè non s’addice al tuo ingegno
    Oziar in mondi “strani”…
    Sol così fìa il tuo fuoco
    Aeternum…
    Sol così nascerà perenne la tua gloria
    Tra i poveri mortali..

    Algebre del Caso descrivono infiniti
    Universi possibili e impossibili:
    Dunque tutto accade perchè deve accadere!…
    Un’unica forza oscura regna sul Cosmo?…
    Simboli le piogge acide del tempo
    E la morte del protone.
    Se non fossimo l’Uno e l’Altro
    Saremmo certamente ciò che fummo…
    A lungo indagammo Archivi vuoti,
    Inesistenti tra gli Uomini…
    Nessuno potrà mai capire e carpire
    Il segreto di Nuove Babilonie sorte
    Ai limiti della bivalenza e della contraddizione….
    Tutti gli arcani futuri beffarda racchiude la cifra.”
    (Onofrio Gallo)

    Ed ecco il brano conclusivo in questione:

    “Alla luce degli effetti postumi del pensiero e delle opere degli autori sopra richiamati gli unici risultati di rilievo allo sviluppo storico del pensiero hegeliano sembrano purtroppo ben compendiarsi con l’appellativo di “filosofie disgregatrici” dell’unità dell’individuo, della famiglia, della società e del mondo, primo fra tutti il venir meno dell’autorità dello Stato e dei gruppi di potere politico-istituzionali, sempre meno credibili in quanto attanagliati dall’interno da una morale anti-kantiana ed antihegeliana (fondata sugli interessi di pochi a discapito delle necessità di molti) e dall’esterno da “politiche disgregatrici” quasi sempre asociali e asfittiche sul piano dello sviluppo nazionale che quasi dappertutto hanno portato ai massimi livelli storici il differenziale ricchezza-povertà (soprattutto in Occidente, dove la società capitalistica, a sua volta attanagliata dagli innumerevoli interessi economico-finanziari- in quasi ogni settore delle attività umane – delle cosiddette “lobby” di potere) innescando enormi flussi migratori da Est verso Ovest e da Sud verso Nord con grave e costante pericolo per le cosiddette nazioni democratiche, che sempre più tendono ad identificarsi con vere e proprie “libere dittature democratiche”, contro le quali i poveri sono e appaiono sempre più impotenti e “più poveri”. Il gioco dell’antidemocrazia è dilagato a tal punto che il sistema capitalistico va spesso in tilt e, così come non servono le joint-ventures , ossia le “alleanze” tra grossi colossi economico-finanziari (in grado di condizionare le economie statali locali), né parimenti si sono rivelate positive i cosiddetti “Stati Uniti” ( d’America o USA e quelli d’Europa o CE), dal momento che i condizionamenti delle scelte economico-finanziarie dei colossi sopra ricordati si riflettono istantaneamente sulle politiche economiche e finanziarie degli stati membri; per cui si assiste spesso al fenomeno del “gatto che si morde la coda” travestito da “principio di mutuo soccorso”, nel senso che se la Grecia o un altro stato europeo è in gravi difficoltà economiche, come è capitato di recente (2010/2011), la Banca Centrale Europea (BCE) è stata costretta a correre ai ripari, malgrado la crisi mondiale che forse ha superato la stessa crisi di Wall Street del 1929, intervenendo in soccorso della Grecia con stanziamenti di un”prestito” da parte degli altri stati membri della Comunità Europea o CE che comporteranno ulteriori sacrifici e ulteriore povertà in un paese già afflitto da una politica asfittica e scarsamente orientata ad incrementare la produzione per mancanza…di capitali! E il fenomeno del “gatto che si morde la coda” da taluni è stato anche interpretato come una nuova forma di arricchimento da parte dei paese “soccorritori” nei confronti del paese “soccorso”, in quanto i prestiti erogati dalle banche, com’è ben noto, richiedono la restituzione dei capitali prestati con il solito e immancabile “interesse”. Che si questa una vera e propria politica d’investimento delle banche centrali a discapito delle banche locali delle singole nazioni? Solo il futuro potrà rispondere a tale angoscioso e squallido quesito.
    In tale contesto dunque ben s’inquadrano le correnti del pensiero economco-filosofico a carattere “disgregante” della società civile, e la tendenza alla disgregazione dei vari segmenti sociali è sotto gli occhi di tutti in quanto è ormai diventato una piaga che si manifesta in tutti i settori e ad ogni livello con la conseguente crescita della povertà, della sfiducia dei singoli e dei gruppi verso di sé e verso le istituzioni, con il conseguente esplodere di dissidi, violenze e crimini di ogni tipo: contro se stessi (incremento dei suicidi tra persone libere e tra i detenuti), contro la famiglia (incremento degli omicidi in ambito familiare, per il venir meno dei valori etici e morali nei confronti della microautorità genitoriale o il rispetto e la stima tra consanguinei in generale). E per gli stessi motivi gli stessi fenomeni si verificano sempre più anche nei confronti della macro-autorità o autorità costituita (Banche, Scuole, Ospedali, Comunità e Associazioni dei tipi più vari, Università, Parlamento e Istituzioni Pubbliche e private, Statali. Religiose, Scientifiche; e, in qualche caso, perfino nei confronti di cariche istituzionali) nonostante i reiterati tentativi da parte delle forze dell’ordine – nei limiti del possibile e delle garanzie del diritto- di mantenere un ordine, che si traduce sempre più in un ordine più apparente che sostanziale e che spesso deve fare i conti con “imprese eroiche” criminali impensabili e imprevedibili portate a segno da singoli e da gruppi emarginati o quasi-emarginati o, in altri casi, da gruppi terroristici locali o internazionali. Per verificare tale trend negativo sotto ogni profilo nelle società capitalistiche occidentali è sufficiente accedere ogni giorno al mondo delle informazioni sempre più avvilenti e squallide.
    Sembrerebbe dunque inutile ogni intervento tendente a interrompere i loops altamente disgregatori che si sono auto innescati nelle società occidentali di oggi.
    Ma così non è, in quanto, se è vero che spetta alla politica ed ai governanti cambiare rotta quanto più in fretta possibile, predisponendo le condizioni per una nuova pace sociale fondata sull’equità e sulla equa ripartizione della ricchezza e su più genuini rapporti tra gli Stati a livello locale e globale, è altrettanto vero e indispensabile migliorare le convinzioni umane (oggi spinte sull’orlo della fine delle speranze e della fine spesso dello stesso desiderio di esistere).
    In che modo?
    Mediante un intervento straordinario e nel contempo armonico fondato su di una vera e propria “rivoluzione copernicana” delle menti e delle convinzioni degli individui e dei responsabili degli Stati occidentali.
    Un rivoluzione del pensiero che deve necessariamente produrre ottimismo e sorgere dalle ceneri della Storia del recente e triste passato che -sulla base di un capitalismo dissoluto e di giochi di prestigio finanziari finiti inevitabilmente nel buco nero del “teorema” del “gatto che si morde la coda”- ha trascinato il mondo occidentale in un vicolo cieco.
    Occorre dunque una ”rivoluzione copernicana” del pensiero, a trecento sessanta gradi, che deve fondarsi su pochi principi universali di concordia e di armonia, basilari per la crescita, l’armonia e lo sviluppo sociale; principi che devono discendere da una nuova visione unificatrice della società a livello filosofico –scientifico-religioso, instillando in modo naturale, per convinzione ( e non per coercizione) dei singoli e degli Stati, il dovere morale e il rispetto per la vita e per gli altri; e, dunque, in grado di rinnovare i valori etici, quelli del sapere e quelli rappresentati dalle istituzioni e dalle rispettive autorità.
    In altre parole è possibile costruire oggi una “filosofia armonica universale?
    La nostra risposta è affermativa ed essa è contenuta nell’opera filosofica che ci accingiamo ad esporre dalla quale si potranno dedurre conseguenze fino ad oggi ritenute del tutto impossibili: la definitiva “unificazione” tra la Filosofia Scienza e Religione.
    Dopo di che ai responsabili del mondo Occidentale non resta che optare per la loro salvezza e quella del mondo.
    In caso contrario, secondo un capitolo della filosofia di Hegel, all’Occidente, che continua a perdere terreno in ogni campo, non resta che cominciare (il che già si verifica da un po’ di tempo a questa parte) a imparare il dolce idioma per inchinarsi definitivamente dinanzi allo strapotere economico, commerciale, scientifico e militare della nazione attualmente più forte della terra: la Cina dal dolce idioma.”

    News a cura di Umberto Esposito.

  7. umberto esposito ha detto:

    DIVAGAZIONI MATEMATICHE SULL’ “Aria della quarta corda “DI J.S.BACH.
    Presentiamo di seguito le divagazioni di un matematico sulle note della celebre “Aria sulla quarta corda “di Bach, nell’arrangiamento degli Swingle Singers, . meglio conosciuta più semplicemente come “la sigla” di Quark(dal 1981 al 1995) e di Superquark (dal 1995 ad oggi), il noto programma TV ideato e condotto dall’altrettanto ben noto giornalista scientifico Piero Angela, da taluni definito “il più celebre divulgatore scientifico italiano” ( si veda l’articolo “ Piero Angela”di M. Bucchi in R2 Cultura p. 41 del quotidiano “la Repubblica” di Ven. 12 Agosto 2011) che, si badi bene, non è affatto uno scienziato, ma si comporta e appare come tale nelle sue trasmissioni agli occhi dei profani e delle masse di telespettatori, in virtù di una “formula vincente”, come la definisce il matematico italiano Onofrio Gallo (n. 1946 a Cervinara in Valle Caudina), autore di numerose scoperte innovative ed originali in campo matematico: principi, teorie, teoremi e formule nell’Analisi Diofantea, in Algebra e, più in generale, in Teoria dei Numeri.
    Sempre a proposito della “formula vincente” di Piero Angela, così prosegue il matematico cervinarese: “…una formula, ideata e messa a punto circa trent’anni fa, fondata sull’aggiornamento relativo ai progressi e ai pregressi scientifici in vari campi delle attività umane: dalla Fisica, alla Medicina, dalle Tecnologie (fibre ottiche, trasporti, computer science, ecc), alla Sismologia, alle Scienze del sociale, delle Scienze Alimentari e della Nutrizione, della Scienze della Mente (Psicologia, Teorie cognitive, talvolta persino con “proiezioni” anche nel “paranormale”), Scienze ambientali, Educazione civica, Scienze del comportamento animale nel suo ambiente naturale (Etologia), della micro- e macro-Economia, del Business e del Marketing, della Meteorologia connessa ai cambiamenti climatici e ai problemi dell’inquinamento ambientale aereo- terrestre-marino, dell’Archeologia, dell’Antropologia, della Paleontologia, della Storia, della Filosofia, delle Scienze dello sviluppo economico e relative, in quanto consequenziali, “ incursioni” in campo politico-economico e finanziario per risolvere i vari problemi dell’Italia contemporanea, che sfociano quasi sempre in brevi “ricette” animate propinate sotto forma di suggerimenti a ripetizione-finora invano- ai politici nostrani, a quanto pare “duri d’orecchio”, ma ancora più spesso ciechi-sordomuti e, in qualche caso, perfino duri di comprendonio!, per migliorare la qualità della vita, dell’economia e della cultura italiane, mediante una più equa ridistribuzione della ricchezza e delle risorse, un costante incremento delle possibilità di sviluppo e del numero dei posti di lavoro con conseguente immediato aumento della produttività nazionale, dei consumi e del relativo decremento delle tasse e della disoccupazione giovanile.
    Non a caso abbiamo lasciato da parte gli effetti sull’uomo comune dell’informazione scientifica su larga scala (tramite sondaggi, curiosità, interviste ad esperti e via dicendo) costantemente presente nel programma di Piero Angela, e, last but not the least, anzi, al contrario!, al “primo” posto, l’ effetto prodotto sui più informati (e talvolta persino sugli stessi “esperti”) dal costante ricorso ai documentari di “qualità” della BBC diffusi in anteprima nelle trasmissioni di Piero Angela .
    La “formula vincente” di Piero Angela?
    Si può ben dire fondata su un costante lavoro di gruppo e di sottogruppi di persone ben affiatate e bene informate, su un certosino lavoro di contatti con esperti e scienziati presso i maggiori centri di ricerca italiani e stranieri, su un’intelligente manipolazione, interpretazione e presentazione dei contenuti scientifici, ridotti -laddove possibile- ai livelli minimi essenziali delle conoscenze (anche relative a fatti di scienza e/o fenomeni di per sé complessi da illustrare sia pure in forma sintetica o proprio per tale motivo, talvolta spiegati da appositi “esperti” convocati di persona in studio, con l’ausilio di modelli per meglio illustrare qualche principio di base o per realizzare qualche piccolo e interessante esperimento esemplificativo, specie nel campo della Fisica e della Chimica).
    Ma la “ formula “ di Piero Angela non sarebbe anche “vincente”, se essa non includesse anche un costante adeguamento ai palinsesti, un sapiente e ponderato uso e dosaggio degli apparati scenici, degli effetti speciali (si pensi alla serie di puntate sul corpo umano di alcuni anni fa del programma “La Macchina Meravigliosa” (1990 e, in replica, nel 1997) , utilissimo agli studenti di Medicina) , e un altrettanto efficace uso delle sintesi nei vari campi del sapere che, anche se in “pillole”, ricorrendo spesso alle animazioni, sono sempre ottenute dopo un lungo lavoro di ricerca e di selezione, dopo un accurato vaglio-scandaglio- filtro di materiali e di convinzioni comuni spesso errate e fuorvianti.
    Le tematiche affrontate sono state e sono ancora oggi alla base delle principali “voci”del mondo della Scienza e della Tecnologia, ma non mancano ragionate proiezioni futuribili.
    Che cosa dire – laddove il dente duol!- sul noto divulgatore scientifico Piero Angelo accreditato ormai da oltre un trentennio sui canali a pagamento della RAI-Radiotelevisione Italiana da un punto di vista “matematico” a proposito dei suoi rapporti con la Matematica?
    Su questo piano i programmi di Piero Angela, al di là di qualche incursione velocissima in Psicologia dell’Infanzia e dell’Apprendimento precoce, solo raramente tali incursioni hanno avuto un riscontro sul piano matematico vero e proprio, per cui si può affermare che su tale piano Superquark mostra un “vuoto” impressionante!
    E’ vero che la Matematica è una scienza ostica, mal tollerata e soprattutto mal digerita in quanto risulta indigesta a molta gente comune, ma nonostante ciò riteniamo che almeno in qaulche caso si poteva ben andare al di là di qualche semplice “pillola matematica”, in quanto non vi è stato alcun “effetto placebo” sulla genet comune legato alla somministrazione di tali “pillole”: Per la Mateamtica si poteva meglio e di più, qualcosa di più succulento e sostanzioso poteva e doveva essere messo in onda.
    Non vi pare? Magari limitandosi alla vita e agli aneddoti di alcuni grandi matematici che incuriosiscono oltre ogni dire gli stessi specialisti, tenuto conto che spesso i cosiddetti “geni” della matematica hanno avuto rapporti non solo con le Lettere, con la Musica e con le Arti, ma anche con gli Scacchi, e perfino con bidelli arguti, ingegnosi e intelligenti, con allievi svegli, intelligenti e anticonformisti, se non addirittura “rivoluzionari”, o con i grandi “calcolatori umani”che, in qualche caso, sono riusciti anche a mettere in seria difficoltà il genio di turno; tenuto ancora conto che, inversamente, qualche genio di turno, ignorando volutamente, ma più spesso “distrattamente” qualche tipo di “protocollo”convenzionale in occasioni solenni o in occasioni particolari, ha spesso messo in serio imbarazzo autorità di ogni genere, dai politici ai filosofi, dai militari ai servizi segreti… e così via fino alle più alte cariche religiose.
    In conclusione vorrei chiudere queste mie “divagazioni” matematiche sulla citata ”Aria” di Bach con un breve excursus in un ambito matematico elementare molto particolare che, ben adattandosi all’occasione, include la catena Proporzioni-Equazioni- Superquark- Matematica.
    Il tutto in linguaggio L.S., anch’esso “coniato” dal sottoscritto per l’occasione.
    Attenzione ho scritto e intendo “L.S.” e non “L.I.S”.!
    Non tutti sanno che l’incognita x ( la classica “cosa” ossia il numero da calcolare, detto in “linguaggio superquarkiano” o in L.S. appunto!) che figura nell’equazione (E/1) A*x=B ( detto in L.S. :una specie di “bilancia” che “ pesa” i numeri e le operazioni tra essi, qui e nel seguito * indica l’operazione di “moltiplicazione”, mentre il simbolo ^ indica l’operazione di “elevamento a potenza” che si effettua assegando un numero (esponente) k ad una base b, che si scrive b^k e si legge “ b elevato a k” oppure “potenza di base b e di esponente k”) , dove A,B sono numeri (o, in L.S., più in generale, “espressioni numeriche” , cioè operazioni indicate in serie , una dietro l’altra, ma sempre riducibili alla fine a numeri), la (E/1) è un’equazione “algebrica” (perché A, B, x possono essere numeri positivi come +7 (interi), +3/4 (frazionari o razionali) ecc e/o negativi come -7, -1/2 ecc) di primo grado (in L.S.: perché x presenta l’esponente 1 sottinteso, cioè x^1=x (moltiplicazione di x una sola volta per se stesso, si legge “x lineare” ), mentre x^2 significa x*x (moltiplicazione di x due volte per se stesso, si legge “x al quadrato”, perche corrisponde all’area del quadrato di lato x), x^3= x*x*x si legge “x al cubo”, perché corrisponde al volume di un cubo di lato x) e che appare nella formula finale (F/1) x=B/A dell’equazione algebrica di primo grado (E/1) A*x=B, si può ottenere anche dalla proporzione (P/1) A:B=1:x.
    Che cosa significa l’ultima scrittura? Detto n L.S.: “proporzione” è un termine matematico che rappresenta anch’esso una specie di “bilancia” la quale è in equilibrio se, e solo se, risulta che il prodotto B*1 degli elementi centrali (o medi, come Bed 1) risulta uguale al prodotto A*x degli elementi estremali (o “estremi”, come A ed x), cioè A*x=B*1.
    Per cui ogni equazione algebrica di primo grado ridotta alla forma finale (F/1) A*x= B ( la quale, detto in L.S., è la stessa cosa di A*x=B*1. perché B*1=B) ha ( detto in L.S.) come “madre” la proporzione (P/1) A:B=1:x, dalla quale risulta appunto A*x= B*1, ossia A*x=B.
    Infatti (detto in L.S.) se A*x=B*1 ( con B*1=B) e se dividiamo a sinistra e a destra del segno = per lo stesso numero A ( in L.S.: “moltiplicatore , fattore o coefficiente della x”), riusciamo ad “isolare” la x, in quanto risulta A*x/A= B*1/A, ossia (A/A)x= B/A, ma essendo A/A=1, diventa uguale ad (F/2) 1*x= B/A , ma 1*x=x , per cui la (F/2) diventa semplicemente x= B/A cioè la formula finale (F/1) dell’equazione algebrica (E/1).
    Qualcuno a questo punterebbe riflettere, sì, ma a che serve? E soprattutto qualcuno sottilmente acuto potrebbe persino aggiungere “Si, va bene, ma, molto probabilmente, non lo sapeva neppure lo stesso Piero Angela”. A quest’ultima considerazione gratuita non potremmo rispondere, in quanto sappiamo tutti che il conduttore di Superquark è ottimo musicista, ma, per converso, dobbiamo ammetterlo ignoriamo del tutto le sue conoscenze matematiche. Del rsto non sono svariati milioni di persone coloro che, ad esempio, ancora oggi molti non comprendono, perche in luogo della ben più logica sigla RTVI che dovrebbe costituire l’acronimo di “Radio Televisione Italiana”, si usa la sigla RAI (acronimo di “Radio Audizioni Italiane”), nata come sigla dell’antenata della TV, cioè della “Radio”,da non confondere con l’elemento radioattivo, il “radio”. Il radio fu scoperto dai coniugi Pierre Curie (premio Nobel 1903) e Marie Sklodwska Curie, di origine polacca, due volte premio Nobel (1903 per la Fisica e 1911 per la Chimica, per l’isolamento del polonio puro e del radio puro) che, esaminando la pechblenda (minerale di uranio), isolando i composti del bismuto scoprirono (1897-1898)dapprima il “polonio” (così chiamato in onore delle oriigni polacche di Marie Curie) e subito dopo, ottenuto del cloruro di bario, sempre dalla pechblenda, scoprirono (1898) anche il “radio”, ponendo così le basi per lo studio della radioattività e anche, insieme a Antoine Henri Becquerel (premio Nobel 1903), della radioattività indotta che studia la lenta disintegrazione atomica di taluni elementi chimici detti “elementi radioattivi” o emissione continua e costante di calore senza conseguente sensibile variazione di peso!.
    A questo punto, se S sta per media del numero di telespettatori di Superquark , M sta per media del numero di interessati alla Matematica ed A ed A’ stanno, rispettivamente, per media del numero dei telespettatori abituali e media del numero dei telespettatori non abituali (tra i quali ovviamente sono inclusi anche quelli A” che sono solo in parte interessati alla Matematica) è possibile istituire (detto in L.S. sta per “ è possibile scrivere”) la proporzione (non comune) S: M= A: A’, che (detto in L.S.) è la “madre dell’equazione” (EQ/1) S*A’=M*A dalla quale, se S è l’incognita, si ottiene che S= M*A/A’, che , tradotto in L.S., suona: ” Il programma Superquark è seguito da un numero medio S di telespettatori dato dal prodotto del numero M degli interessati alla Matematica moltiplicato per il numero A dei telespettatori abituali diviso il numero A’ dei telespettatori non abituali, per cui, se indichiamo con A”’ il numero dei telespettatori non abituali e non interessati alla Matematica , ossia il complemento di A” in A’, otteniamo che A’= A”+A”’, e quindi S= M*A/( A”+A”’), da cui si vede che, nell’ipotesi che A sia in media dell’ordine di almeno quatttro milioni di unità, M sia dell’ordine di alcune migliaia di unità, con A”=M e A”’= A’-A”= A’-M, si potrebbe calcolare che, in corrispondenza di un “minimo” iniziale di 200 000 telespettatori di tipo M, pari al 5% di A, con A’=100 000, su un’ “ audience” A di 4 milioni di telespettatori per ogni puntata di Superquark, si potrebbe concludere, in modo inatteso, che se fosse valida l’ipotesi (EQ/1) il numero dei telespettatori medio per puntata di Superquark dovrebbe paradossalmente… raddoppiare, passando dagli ipotizzati 4 milioni attuali a ben 8 milioni futuri!
    Il paradosso emergente da quanto sopra non è quello numerico ora ottenuto, ma soprattutto il fatto che, da trent’anni a questa parte e fino ad oggi, nelle trasmissioni del programma di Piero Angela la Matematica, la “regina delle Scienze”, è stata trasformata nella “Cenerentola delle Scienze”.
    In pratica tale disciplina viene semplicemente e sistematicamente ignorata.
    Di chi è la colpa? Degli scienziati che non intendono contribuire alla divulgazione della Matematica (ammesso che siano stati regolarmente interpellati in tal senso)? Del palinsesto che non prevede, tout court, la Matematica in TV? E non crediate che si sia dato spazio alla matematica neppure sulla TV commerciale, allorchè Piero Chiambretti convocò il “secchione” di turno per una dimostrazione in diretta dell’Ipotesi di Riemann, visto che per raggiungere tale scopo un“secchione”…sarebbe rimasto tale per l’eternità, soprattutto se , così come i “secchioni”, anche i cosiddetti “esperti” continueranno ad ignorare il nostro Teorema RH-Mirabilis (2005 e 2010) che fornisce la tanto sospirata dimostrazione generale dell’Ipotesi di Riemann in solo 7 righe!
    O la causa “causante” delle difficoltà relative all’immissione della “divina scienza” nei circuiti TV rientra nella esplicita “volontà”di tenere alla larga da tali circuiti la Matematica, con i suoi numeri ed e i suoi personaggi del passato, del presente e, molto probabilmente, anche di quelli del futuro? Insomma sarà sempre così?
    Certo è che di questo passo la “grande assente” di Superquark (detto in L.S. sta per la “disciplina Matematica”) potrebbe persino diventare tra qualche anno “polvere di Cantor” non solo in Superquark, ma addirittura nel contesto più generale del panorama dell’informazione TV e della carta stampata, in particolare quella dei giornali (troppo costosa!), per fortuna destinata al macero nel breve futuro!
    Ma l’esclusione della Matematica dalla TV – una disciplina già a suo tempo esclusa dal Premio Nobel- a chi gioverebbe? Probabilmente solo ai “palinsestiani” o agli “zotili” ( da “zotici”+ “sottili”).
    A meno che…si pensi che è del tutto impossibile raddoppiare l’”audience” immettendo “proprio” la Matematica in TV.
    Convinzione, peraltro, dimostrata del tutto falsa dal nostro “controparadosso” rappresentato dall’equazione (EQ/1). A meno che salti fuori qualche “genio dei numeri” che dimostri l’esisetnza di un controparadosso del nostro controparadosso!”
    News a cura di U. Esposito

  8. umberto esposito ha detto:

    STORIA E MATEMATICA?…O SOLO STORIA?
    Richiesta urgente a MITO 3. Chi tace acconsente? Il segnale è verde? Rispondere con un “SI” oppore con un “NO”. In caso contrario (mancata risposta) non saprei “chi dei due scrive questa pagina”(J.L.BORGES). Ossia a chi dei due competerebbe il ruolo dell’Ammiraglio “Mortimer” nel celebre episodio dell’affondamento della nave corsara nazista Atlantis.
    La storia che riportiamo più avanti è un episodio bellico tratto dall’opera inedita eclettica e poderosa Codice Enigma di Onofrio Gallo, di circa mille pagine, sulla Seconda Guerra Mondiale che si trova nel suo Codex Cervinarensis (Sezione Lettere) e che qui di seguito riportiamo per gentile concessione dell’Autore.
    “L’ Atlantis , comandato dal capitano di vascello Bernhard Rogge, sulla quarantina, dai lineamenti forti e dall’aspetto atletico, nave corsara tedesca, armata di cannoni e siluri, possedeva un equipaggio di 13 ufficiali, oltre 4 per le comandate di preda, e 331 tra sottufficiali e marinai.
    Tale unità navale, definita “il più funesto uccello che avesse mai solcato mari ed oceani “,costrinse le altre navi mercantili a muoversi a zig-zag percorrendo miglia e miglia in più, con dispendio di energie umane e materiali e di tempo.
    Le sue azioni devastanti sul naviglio nemico causarono enormi ritardi nel recapito della posta, aumenti dei premi di assicurazione e, soprattutto, la difficoltà di assemblare equipaggi disposti ad affrontare i rischi connessi con la presenza delle navi corsare tedesche sui mari.
    Ne risentirono specialmente le tariffe relative alle indennità degli equipaggi, quando era possibile metterli insieme.
    Per quasi tutta l’estate del 1941 il capitano Rogge con la sua nave si mantenne lungo le rotte meridionali dell’Oceano Indiano: all’orizzonte solo mare e qualche raro volatile.
    Finalmente il 10 settembre 1941, catturò la sua ventiduesima preda, la nave norvegese Silvaplana, sulla quale decise di trasferire tutti i naufraghi raccolti nelle operazioni precedenti, dando l’incarico, sulla parola d’onore del comandante dell’unità norvegese, di sbarcarli in un porto africano.
    Presagio della fine dell’ Atlantis fu forse l’avaria subita il 21 novembre 1941 dal suo aereo di ricognizione, dopo un volo mattutino e quella relativa al motore di sinistra della nave corsara.
    Il 19 novembre 1941 Berlino trasmette all’Atlantis il seguente messaggio in Codice Navale Enigma:
    BARTX19
    ORDINIAMOVI AT SEGUITO NECESSITA’ RIFORNIRE U-126 RECARVI GIGLIO PUNTO10
    CARTX19
    L’Atlantis non risponde.
    Berlino ripete l’ordine.
    L’Atlantis tace ancora.
    Dopo un quarto d’ora l’ Atlantis trasmette a Berlino, sempre in Codice Navale Enigma, il seguente messaggio:
    ATBARTX19
    ESEGUIAMO ORDINE
    ATCARTX19
    Il messaggio viene intercettato dall’Ammiragliato di Londra alle ore 11.25 dall’operatrice N834, addetta alla telescrivente G.67.
    Alle 11.35 il messaggio è intercettato dall’Ufficio CYPHER.
    Il GIGLIO.10 viene identificato sulla Carta dei Fiori come il punto geografico corrispondente a 23,30 gradi di Latitudine Sud e 70,10 gradi di Longitudine Est.
    A quell’ora, il 22 novembre 1941, l’Atlantis si trovava nell’Atlantico a Sud dell’Equatore per rifornire di carburante il sottomarino U-126 in un punto d’incontro prestabilito, circa a metà strada tra l’Africa e il Brasile.
    Alle 11.45 Londra ha decifrato anche il messaggio dell’Atlantis.
    L’Ammiragliato inglese, già in possesso della Carta dei Fiori, ordina subito di trasmettere la posizione geografica corrispondente a GIGLIO.10 sulla Carta dei Fiori al capitano R.D.Oliver, comandante dell’incrociatore Devonshire, attualmente a 30 ore da GIGLIO.10.
    Nel frattempo l’Atlantis cambia identità e si trasforma nel mercantile Polyphemus.
    Nome del capitano: Edward
    Trasporto: Manganese.
    L’Atlantis raggiunge la zona delle operazioni di rifornimento all’U-126 quel venerdì 21 novembre 1941.
    Dopo un volo mattutino, il ricognitore dell’Atlantis, nell’ammarare, subisce una grave avarìa
    L’incontro con l’U-126 è previsto per il giorno successivo.
    L’Atlantis, ormai diventato Polyphemus, si avvicina velocemente a GIGLIO.10.
    La stesa cosa fa il Devonshire.
    Alle prime luci dell’alba di sabato 22 novembre 1941 l’Atlantis è in vista del sommergibile U-126.
    Il capitano Rogge ordina di eseguire la manovra di avvicinamento al sommergibile, mentre alcuni tecnici stanno smontando il motore di sinistra della sua nave corsara per ripararlo.
    Nella lancia a fianco del sommergibile si trovano alcuni uomini dell’equipaggio dell’Atlantis, mentre con un’altra lancia il comandante del sommergibile, un certo Bauer,viene trasferito a bordo della nave per discutere con Rogge i particolari dell’operazione.
    Verso le 5.35 iniziano le operazioni di rifornimento al sommergibile.
    Vero le 5.55 la vedetta dell’Atlantis, scrutando l’Atlantico illuminato dal Sole, avvista qualcosa all’orizzonte.
    La conversazione tra Rogge e Bauer fu interrotta dalla comparsa della punta di un albero maestro.
    La vedetta dell’Atlantis aveva appena segnalato l’avvistamento di quello che si rivelò subito dopo essere il micidiale incrociatore britannico Devonshire, che, in seguito alle gravi perdite inflitte in quel periodo dagli U-Boote al traffico mercantile nemico ed inn seguito all’intercerazione del CYPHER, aveva avuto l’ordine dall’Ammiragliato Inglese di ricercare in quella precisa zona navi-rifornimento per sommergibili tedeschi.
    Il Devonshire era un vero incrociatore.
    Progettato e realizzato come tale, aveva una netta superiorità sull’Atlantis di Rogge.
    Esso, fornito di una discreta corazzatura e di 32,25 nodi di velocità massima, dislocava 9850 tonnellate, era dotato di un armamento costituito da 8 cannoni da 203/50 (il che significa cannoni aventi il calibro o diametro dell’anima misurato tra due pieni opposti di 203 mm e di lunghezza pari a 50 volte il calibro, ossia 203 mm x50=10150 mm vale a dire circa 10 metri di lunghezza). Ma il Devonshire era armato con 8 cannoni AA da 102/45, da 8 minori, da 16 mitragliere, 8 lanciasiluri da 533 mm, 1 aereo di ricognizione.
    Dopo pochi minuti l’incrociatore pesante inglese Devonshire dirige sulle due unità nemiche.
    Appena scorgono l’incrociatore inglese, l’Atlantis e l’U-126 si staccano subito l’uno dall’altro, per consentire una rapida immersione al sottomarino..
    Cap.Rogge: Tagliare quella manichetta!
    Il Secondo: Taglire la manichetta!
    Dal sommergibile: Ricognitore in vista, signore!…
    Il Vice-comandante del sommergibile: Chiudere i portelli!…Immersione rapida!
    Il sottomarino scompare tra i flutti precipitosamente.
    A quel punto il capitano Rogge e il comandante dell’U-126, rimasto a bordo dell’Atlantis per causa di forza maggiore, si chiedono se l’incrociatore abbia notato il sommergibile e, soprattutto se nell’avvicinarsi ancora avrebbe notato la chiazza di nafta galleggiante sulla superficie marina lasciata a seguito della rapida immersione.
    Vedetta: Nave da guerra di prua a sinistra.
    Sull’Atlantis viene dato l’allarme.
    Il capitano Rogge osserva la manovra del Devonshire col binocolo e ordina:
    Ai posti di combattimento!…
    Il Secondo: Ai posti di combattimento!..
    Cap.Rogge: Mascheramento!
    Il Secondo: Squadra mascheramento sul ponte!
    Cap.Rogge: 10 gradi a dritta, avanti adagio, non voglio far vedere che abbiamo fretta.
    Il ricognitore del Devonshire è sulla nave corsara tedesca.
    Cap. Rogge: Salutate!
    Gli occupanti, vestiti da civili, salutano verso l’alto agitando le braccia.
    Il ricognitore si allontana.
    Cap.Rogge: Non c’è che da tentare…di farsi passare per Inglesi..
    Comandante del sommergibile: E chi vuole che prenda la sua nave per inglese?
    Cap. Rogge: Non sarebbe la prima volta…dobbiamo guadagnare tempo e dare tempo al suo sommergibile di entrare in azione…
    Comandante del sommergibile: Naturalmente!
    Cap. Rogge: Bisogna tentare di avere quell’incrociatore a portata di siluro…Ficcatevi bene in testa che siamo Inglesi.
    Non voglio che si veda l’ombra di un cannone o di un’uniforme nazista!…Sta dirigendosi su di noi.
    Il capitano Rogge comprese subito la gravità della situazione, anche perché lo stesso Bauer non potè far più ritorno sul suo sommergibile che in quei momenti cruciali era comandato dal suo vice.
    Quasi certamente il sommergibile, dopo il distacco del tubo del combustibile, aveva lasciato una chiazza di nafta piuttosto visibile che era stata notata dagli Inglesi.
    Al capitano Rogge non rimase che cercare di distrarre il nemico e prendere tempo cercando di attirarlo nel raggio di azione dei siluri del sommergibile trasmettendo la sua ennesima falsa identità: ora l’Atlantis era diventata la nave inglese Polyphemus.
    Il comandante Oliver del Devonshire nutriva forti sospetti su quel Polyphemus.
    Ad eccezione dei ventilatori, la nave che gli stava davanti corrispondeva quasi esattamente alla descrizione data dall’Ammiragliato.
    Decise di incrociare nella zona tenendosi a distanza di sicurezza, oltre i 16500 m che era la gittata massima dei vecchi cannoni dell’Atlantis, e contemporaneamente chiedendo, a sua volta, al Comandante in Capo dell’Atlantico Meridionale se la nave intercettata potesse essere o meno il Polyphemus.
    Per quasi un’ora l’Atlantis tirò per le lunghe la conversazione con l’unità nemica.
    L’Atlantis temporeggia.
    Dall’Atlantis non segue alcuna immediata risposta.
    Cap. Oliver: Sparare un colpo!
    Il Secondo del Devonshire: Fuoco!
    Cap. Rogge: Non stanno proprio perdendo tempo! Fermate le macchine!
    Trasmettete questo messaggio:
    URGENTISSIMO DAL POLYPHEMUS
    Ripetere lentamente:
    URGENTISSIMO DAL POLYPHEMUS
    VENIAMO FERMATI DA NAVE NON IDENTIFICATA
    Ripetere secondo il sistema inglese lentamente:
    VENIAMO FERMATI DA NAVE NON IDENTIFICATA
    Dovranno chiedere a Londra l’esatta posizione del Polyphemus e intanto guadagneremo tempo…
    Se il sommergibile non attacca adesso, ci restano poche speranze…
    Bauer: Attaccherà! Non possono lasciarsi scappare così un incrociatore da 8000 tonnellate…e io sono qui! Maledizione!
    Messaggio pervenuto all’Ammiragliato inglese dal Devonshire.
    Contrammiraglio Malcom:Vogliono sapere l’esatta posizione del Polyphemus!
    Nessuna reazione da parte della nave sospetta.
    Amm.: E’ una finta! Dove si trova ora il Polyphemus?
    Contramm. Malcom: Secondo le ultime segnalazioni, si trova a 32 gradi Sud e 62 gradi Est…
    Tenuto conto del tempo trascorso, la sua posizione coincide quasi con quella della nave fermata…
    Amm.: Chiami subito il Devonshire e gli chieda la natura del carico che trasporta…e anche il nome del Comandante.
    Il Devonshire trasmette le richieste al falso Polyphemus…
    Cap. Rogge: Nome del comandante…capitano Edwards….Il carico: manganese..
    Ripetere il messaggio di prima:
    URGENTISSIMO POLYPHEMUS FERMATA DA NAVE NON IDENTIFICATA…
    E trasmetta il più debole possibile, con qualche esitazione…
    Se ci porranno delle domande difficili da affrontare, cercheremo di fargli credere che abbiamo la radio guasta.
    Nel frattempo il sommergibile cerca di inquadrare il Devonshire, ma deve immergersi subito per il sopraggiungere di un ricognitore…
    Capitano Bauer, comandante del sommergibile: Ma che stanno facendo là sotto?…
    Cap. Rogge: Se quell’incrociatore continua ad avvicinarsi, tra 4 minuti potremo aprire il fuoco…Gerd! La distanza…
    All’Ammiragliato inglese…
    Contramm. Malcom:Da Città del Capo: Informazioni fornite da nave sospetta concidono con quelle del vero Polyphemus…il preteso Polyphemus segnala gravi difficoltà..
    L’altro Polyphemus in navigazione procede regolarmente..
    Sta manovrando per allontanarsi.
    Amm.: Magnifico! Così abbiamo due Polyphemus!
    Contramm. Malcom: Dal Devonshire:
    Descrizione Polyphemus identica a quella da voi trasmessa…
    Se è davvero l’Atlantis, sarà un bello scontro.
    Amm.: Il Devonshire è dieci volte più veloce…
    Contamm.Malcom: L’Atlantis ha cannoni e siluri…e li userà, se Oliver è così sciocco da portarsi a tiro!
    Altro Ufficiale: …e se, invece, continuassero nella finzione e non sparassero neppure un colpo?
    Amm.: Non ne sarei sorpreso!
    Ormai non hanno bisogno di farsi onore.
    Se ne sono fatto persino troppo…l’ultima nave alla loro mercè, risparmiata per un pelo, è stata la norvegese Silvaplana, catturata il 10 settembre scorso!
    Quello è l’Atlantis!
    Intanto sull’Atlantis…
    Ufficiale dirotta: Rilevamento 1.5.0 – 1.4.8 – 1.4.6 -1.4.2…
    Cap. Rogge: Pronti ad aprire il fuoco ad 1.4.0!
    Ufficiale di rotta: Siamo a tiro della loro artiglieria
    Cap. Rogge: Tutto a sinistra!
    Il Secondo: Tutto a sinistra!
    Ufficiale di rotta: Rilevamento: 1.4.1- 1.4.0
    Cap. Rogge: Attenzione macchine!
    Pronti a muovere…
    Pronti ad aprire il fuoco!…
    Ufficiale di rotta: Rilevamento: 1.4.5- 1.4.6- 1.4.7
    Cap. Rogge: Niente da fare, sospendere manovra…si allontana…
    All’Ammiragliato inglese.
    Contramm. Malcom: Dal Devonshire: Ancora nessuna reazione da nave sospetta!
    Richiesta urgente: E’ IL VERO POLYPHEMUS?
    Amm.: E’ l’Atlantis!…E’ il vero Polyphemus un corno!
    Alle 09.34 il Devonshire riceve la risposta dal Comandante in Capo dell’Atlantico Meridionale:
    NO-RIPETIAMO-NO!
    Un minuto dopo il Devonshire apre il fuoco sul Polyphemus.
    Un fuoco intenso.
    Cap. Rogge: Fare fumo, issare bandiera tedesca, iniziare operazione di autodistruzione…non devono sapere chi siamo!
    Tutta a dritta! Avanti tutta!
    Ufficiale al Capitano Rogge: Comandante, dobbiamo davvero farci affondare in questo modo…senza neanche sparare un colpo per l’onore della bandiera?
    Cap.Rogge: Sono al di là della nostra portata…e non c’è niente da fare.
    Ma è meglio così.
    Non sapranno mai chi siamo….
    Forse anche un mercantile qualsiasi…non lo sapranno mai..e l’Atlantis vivrà ancora!
    All’Ammiragliato inglese:
    Contramm. Malcom: Dal Devonshire, hanno aperto il fuoco sulla nave sospetta…
    Non risponde ed ha alzato la bandiera tedesca!
    Amm.: Trasmetta al Devonshire di continuare sino alla distruzione dell’avversario.
    Recuperare i naufraghi e rientrare subito…
    Voglio interrogarli io stesso…
    Devo essere sicuro !…
    Capito?
    Contrammiraglio Malcom: Sicuro!
    Amm.: Non posso continuare a cercare in eterno una nave fantasma!
    L’Atlantis viene ridotto a un mucchio di ferraglie dai cannoni del Devonshire…
    Il capitano Rogge raccoglie gli ultimi documenti e, con i suoi marinai, si prepara ad abbandonare la nave in fumo e in fiamme, scossa dai tiri dell’artiglieria nemica…
    Cap. Rogge all’Ufficiale in seconda: Prepari le cariche, ci autoafondiamo…
    Faccia le cose perbene, non devono salire su questa nave.
    Ordini di abbandonare la nave.
    Ufficiale in seconda: Abbandonare la nave! Abbandonare la nave!
    Mentre la sirena entra in funzione sull’Atlantis, i naufraghi si allontanano sulle scialuppe dirigendosi verso il sommergibile U-126, che si fa vedere, protetto dallo scafo dell’Atlantis che sta per essere colato a picco sia dagli Inglesi, sia dagli stessi Tedeschi!
    All’Ammiragliato inglese.
    Contramm. Malcom: Dal Devonshire: Unità nemica affondata…
    Amm:: Congratulazioni!
    Contramm Malcom: Dal Devonshire: Impossibile recuperare naufraghi, causa presenza sommergibile nemico.Rientro. Capitano R.D. Oliver.
    Contramm. Malcom: Bene! Ce l’abbiamo fatta, signore.
    Una nota aggiuntiva riportava la seguente risposta non ufficiale dell’Ammiraglio Mortimer:
    Sembrerebbe di sì, ma io non ne sono ancora certo!
    So che una nave è colata a picco,…ma era poi l’Atlantis?
    O una nave tedesca ausiliaria disarmata?
    Non lo sapremo mai!” ( Dall’inedito Codice Enigma di O. Gallo)
    Lo stesso interrogativo ( nella forma ” Ma si tratatva del vero “Umberto Esposito” o di un tale che ne aveva assunto lo “stile”?o nella forme “logicamente simmetriche”: “ Ma si trattava del vero MITO3”oppure “ Siamo vittime della disinformazione?” ) potrebbero porsi un giorno i frequentatori di questo blog, se non dovesse pervenire il “segnale verde” di cui sopra.
    La risposta a tale interrogativo, in tale ipotesi, non potrebbe essere che la stessa dell’Ammiraglio inglese.
    Nota finale. Il capitano tedesco Bernhard Rogge, al suo rientro alla base, fu promosso contrammiraglio ed ebbe il compito di addestrare i cadetti navali.
    Scoperti i suoi sentimenti antinazisti, egli fu poi relegato in un posto senza importanza.
    Successivamente, alla fine della guerra, il contrammiraglio Rogge ebbe il Comando del I Distretto a Kiel-Wik e delle forze di terra della NATO nello Schleswig-Holstein.
    News a cura di U. Esposito per gentile concessione dell’Autore.

  9. umberto esposito ha detto:

    Risposta a Mito 3. Il sottoscritto si occupa di matematica da una vita, Sono stato docente di matematica ed ho ricoperto ruoli di un certo prestigio nel campo della didattica matematica. Molti anni fa ho avuto la fortuna di conoscere il Prof, Onofrio Gallo del quale mi onoro di essere rimasto, oltre che amico, anche un convinto estimatore e non solo in virtù del suo valore “matematico”, ma anche di poeta, scrittore e saggista. La mia opera è rivolta a diffondere in particolare le scoperte matematiche più importanti ottenute dal matematico cervinarese negli ultimi anni, con qualche “puntata” estemporanea sulla produzione letteraria del medesimo. In pratica sono diventato il “curatore” di gran parte di quanto appare nel suo Codex Cervinarensis; e, tra gli scopi principali del mio operare, vi è quello di diffondere a vari livelli (didattico, informale, semi-specialistico, ecc) i maggiori risultati matematici presenti in tale opera che reputo di grande rilievo e di grande impatto sociale per il miglioramento della cultura (non solo di base) necessaria ai nostri tempi. Soprattutto sul WEB.
    Lo scopo dei miei interventi, s’intende col beneplacito di chi ospita gli stessi, è, in questo caso, quello di recare un contributo originale alla comprensione di argomenti matematici non sempre ben chiari in particolar modo agli Studenti, ma talolta anche agli appassionati del settore. D’intesa con l’Autore abbiamo programmato e preparato, come appare chiaro dalla numerazione 1/7, un ciclo di sette “lezioni speciali” dedicate all’Analisi Diofantea ( una specie di “corso estivo” gratuito sulla Matematica: se ne tengono tanti in Italia del Nord, ma a pagamento e che, molto spesso, non hanno nulla a che vedere con la vera matematica) che, potrebbero trasformare questo blog ( e non solo nell’ambito della Valle Caudina) in un sicuro punto di riferimento per quanti ne volessero sapere di più sulle scoperte matematiche del matematico cervinarese e suoi metodi. In ogni caso, solo in seguito ad un preciso segnale “verde”, il sottoscritto proseguirà nella prevista diffusione su questo blog delle successive sei ” lezioni magistrali” già preparate dal sottoscritto con la collaborazione e l’approvazione del Prof. Gallo. Restando in attesa del “segnale” di cui sopra e ringraziando i responsabili di questo blog per aver ospitato i miei precedenti interventi, faccio pervenire i miei più cordiali saluti. Prof. Umberto Esposito.

  10. mito3 ha detto:

    Vi ringrazio per le vostre preziose informazioni, Signor Umberto Esposito, ma…Voi chi siete?

  11. umberto esposito ha detto:

    IL MITO: SUA MAESTA’ L’ANALISI DIOFANTEA 1/7
    “ Se la Teoria dei Numeri è la Regina delle Matematiche (K.F. GAUSS), l’Analisi Diofantea è la Regina della Teoria dei Numeri “ (O. Gallo)
    Dal Chaos al Kosmos – Da Diofanto a Gallo.
    Il più sublimante e inalienabile diritto alla conoscenza umana – oggi più che mai e soprattutto in campo scientifico- è rappresentato dalla liberazione dei singoli dagli impenitenti e diabolici “ falsi maestri” elevati spesso artificialmente a “profeti del sapere”, in virtù di un prestigio sempre più declinante deleterio ed obsoleto. Ci si potrebbe persino domandare se si tratta di “profeti del sapere” o di “paladini dell’ignoranza”, tenuto conto che in realtà si tratta di veri e propri corifei di “ambigui messaggi” dalle menti calcificate. I loro saperi e le loro nozioni ormai non incantano più nessuno, per cui essi appaiono fuori dal tempo (ma forse anche dallo spazio) in cui viviamo. Le loro elucubrazioni mentali, travestite da “pensieri”, appaiono distorte dal “Chaos” ( Disordine, Irrazionalità) dell’humus culturale in cui esse affondano da tempo le loro aride radici e da cui attingono sempre più scarsamente i loro vani tentativi di proporre il “vecchio” abilmente fatto passare per “nuovo”. Il risultato finale? Appunto: “Nihil novi sub sole” (niente di nuovo sotto il sole), “anzi d’antico” (G. Pascoli). In realtà quasi mai tali “falsi profeti” del sapere ci illuminano con la “luce” del “Kosmos”( Ordine, Razionalità). In termini di vulgata ecclesiale costoro sono sempre pronti a celebrare sul loro altare dell’anima, la “thyméle” dionisiaca, l’esalazione del loro “mortal sospiro” (A. Manzoni); ossia i nefasti prodotti della loro profonda “ ignorantia, ceu fumis in aere”, indipendentemente dal fatto che il “il tempo scorre” (secondo l’eterno dettato eracliteo “panta rei”)e che lo stesso “tempo” (dal greco “tèmno”=taglio) esige “il pedaggio cosmico”, vale a dire esige appunto il “taglio”, l’abbandono, da parte di costoro, del Chaos (dal verbo greco “ chàino” =dilatarsi), ossia il loro allontanamento dalla “docta ignorantia” (ci si perdoni l’ossimoro che pur li caratterizza con una sola pennellata in modo “pittoresco e pittorico”).
    Se ciò oggi è vero in molti settori delle scienze – si pensi una tantum, ad esempio, agli esperti “profeti del nucleare” che si sono illusi di poter dominare il fuoco nucleare di Prometeo nel passato remoto e recente, così come nell’imminente futuro; mentre, di fatto, hanno dato il via libera, con la loro supponenza e saccenteria, alle sventure collegate sia all’uso “bellico” (Hiroshima e Nagasaki, in Giappone (1945)), sia all’uso “pacifico” dell’energia nucleare ( Chernobyl, in Ucraina(1986) e Tukushima, in Giappone(2011) ! – ciò risulta diabolicamente eclatante in alcuni settori del campo delle Matematiche.
    E’ per tale motivo che la ricerca della conoscenza non può prescindere dalla Storia.
    “Cognoscere est scire per causas” (G. B. Vico): per conoscere occorre risalire alle cause. Ma costoro, i falsi profeti, pretendono d’insegnare (che cosa?, a chi?) ignorando completamente il citato principio vichiano
    Il nostro assunto richiede pertanto di abbandonare l’”Apocalypse now” dei nostri tempi in campo diofanteo e di risalire all’ “unum et simplex” della conoscenza primordiale dell’Analisi Indeterminata o Diofantea per cogliere il “ magnum Dei incrementum” (il respiro divino che ha animato l’opera) del celebre matematici greco Diofanto di Alessandria d’Egitto, circa II-III sec. d.C., solitamente detto il “ padre dell’Algebra” (antica).
    Ma che noi definiremo anche il “padre putativo” dell’Ultimo Teorema di Fermat”, enunciato (1637) dal magistrato-matematico tolosano Pierre de Fermat (1601-1665), a sua volta il “padre della Teoria dei Numeri” (moderna) a lato del Problema 8 del Libro II ( Dividere un quadrato in due quadrati) dell’Arithmetica di Diofanto (in 13 libri), edita a Parigi, nel 1621, da C.G. Bachet de Méziriac (1587-1638)), e della quale ai tempi di Fermat erano noti solo sei/tredicesimi. Fu tale enunciato di Fermat quello che spinse matematici di valore e dilettanti allo sbaraglio alla caccia( durata circa 360 anni!) della sua dimostrazione veramente meravigliosa (mirabilis) della sua celebre congettura che, invero, non fu mai trovata e che passò ai posteri come Ultimo Teorema di Fermat..
    Anche la sua asserzione di aver dimostrato l’UTF nei casi n=3 ed n=4 e che avrebbe potuto indurlo a ritenere di aver trovato un metodo generale ( della discesa infinita?) per una dimostrazione generale del suo “ultimo teorema” è rimasta quasi del tutto priva di riscontro.
    Nel libro di E. Scholz, Geschichte der Algebra, B.I. Wissenschafts Verlag Mannheim (1990), di circa 500 pagine, sono comparsi altri quattro libri, oltre i sei noti, dell’Arithmetica di Diofanto, inizialmente composta da 13 libri .
    Tali libri sono stati ritrovati nel 1990 dallo svizzero J. Sesiano.
    Nel libro Asimov’s Chronology of science and Discovery ( 1989 by Isaac Asimov ) nell’anno 1637 troviamo scritto: “ L’ULTIMO TEOREMA DI FERMAT. Il matematico francese Pierre de Fermat (1601-1665) aveva la cattiva abitudine di non pubblicare, ma di scribacchiare delle note frettolose in margine a libri, o di scrivere casualmente delle lettere agli amici, in cui paralva delle sue scoperte. Il risultato fu che, pur avendo scoperto la geometria analitica prima di Cartesio, perse il merito della scoperta.
    Racconterò qualcosa che lo riguarda.
    E’ possibile avere due numeri al quadrato, la cui somma dia un terzo numero al quadrato: 32 +42=52, oppure 9+16=25.
    Esiste un numero infinito di casi del genere.
    Tuttavia, esistono forse due numeri al cubo che sommati diano un terzo numero al cubo?
    Oppure esistono due numeri alla quarta potenza che sommati diano un numero alla quarta potenza, e così via?
    Fermat scrisse sul margine di un libro che non esistono: funziona solo per i numeri al quadrato.
    Aveva una prova perfettamente meravigliosa di questo, disse, ma il margine non non gli lasciava spazio per scriverla.
    Ora Fermat diceva spesso di avere la prova di qualche affermazione particolare, e in ogni occasione sono state scoperte le prove per quei casi, anche quando Fermat non forniva la propria.
    A dire il vero questo è avvenuto per tutti i casi, tranne uno. L’affermazione a cui ho appena accennato è l’ultima asserzione di Fermat che deve essere ancora provata. E’ per questo che viene chiamata l’ultimo teorema di Fermat.
    Se si fosse trattato qualcuno diverso da Fermat, avremmo concluso che in questo caso poteva aver torto.
    Tuttavia Fermat era un matematico talmente valido, che si è poco propensi a sostenere che possa aver commesso un errore. Eppure nessun matematico ha mai trovato la prova. L’ultimo teorema di
    Fermat è il più famoso problema irrisolto della matematica”.
    Da parte sua il matematico E.T. Bell, nato ad Aberdeen, Scozia, il 7 feb. 1883 e morto a Watsonville, California, il 21 dic. 1960, nel suo arcinoto libro divulgativo Men of Mathematics , Simon & Schuster, Inc., New York, N.Y., 1937, nel capitolo IV, dedicato a Fermat, scrive:
    “ Era abitudine di Fermat, leggendo il Diofanto di Bachet, di scrivere i risultati delle sue meditazioni sotto forma di note scritte sul margine della sua copia ; il margine era troppo stretto perché Fermat potesse sviluppare le sue dimostrazioni. Così, nel commentare l’ottavo problema dell’aritmetica di Diofanto, che richiede la soluzione dell’equazione (pitagorica) x2+ y2 = a2 in numeri razionali (numeri interi o frazionari), Fermat annotò in latino:
    “Cubum autem in duos cubos, aut quadratoquadratorum in duos quadratoquadratos, et generaliter nullam in infinitum ultra quadratum potestatem in duos eiusdem nominis fas est dividere
    Cuis rei demonstrationem mirabilem sane detexi hanc marginis exiguitas non caperet”
    (“ Invece, è impossibile dividere un cubo in due cubi, una quarta potenza in due quarte potenze o, in generale, una qualsiasi potenza, di grado superiore a 2, in due potenze dello stesso grado; della qual cosa ho scoperto una dimostrazione meravigliosa che non può essere contenuta in questo questo margine .”) (Fermat, Opere, III, p. 241)
    E’ questo il famoso ultimo teorema che egli scoprì nel 1637.”
    Negli anni ’40 Weil, fondandosi su idee di geometria algebrica, dimostrò un assunto analogo dell’Ipotesi di Riemann per le curve algebriche su campi finiti, sviluppando la moderna teoria delle varietà abeliane, una teoria algebrica (non analitica) delle curve e generalizzando i suoi risultati riuscì, verso il 1950, a formulare delle “congetture” sull’estensione dell’ipotesi di Riemann su campi finiti anche per le varietà di dimensione superiore. Nel 1973 le “congetture di Weil”, sulla base della geometria algebrica moderna: la teoria degli schemi di Grothendieck, sono state dimostrate da P. Deligne.
    La congettura originale di Riemann, nota anche come l’VIII Problema di Hilbert, il problema più importante della matematica odierna, è rimasto irrisolto fino al 10 marzo 2005, allorchè il matematico italiano Onofrio Gallo ( n. 1946 a Cervinara, Valle Caudina) è riuscito a darne una dimostrazione “fulminante” in solo sette righe!
    Tale dimostrazione va sotto il nome di Teorema RH-Mirabilis di Gallo, diffuso sul Web a partire dal 14 Aprile 2010 ed è contenuta nella sua memoria The Proof of the Riemann Hypothesis, depositata ad Oslo, alla fine di Aprile 2010, presso l’Accademia Norvegese delle Scienze e delle Lettere.
    Successivamente, negli anni ’60, il matematico Robert Langlands espose le sue idee (il cosiddetto programma di Langlands )in una serie di lettere allo stesso Andrè Weil. Tale programma mette in relazione tra loro la “geometria aritmetica” con la teoria delle “rappresentazioni automorfe” : In sostanza si tratta di è una generalizzazione della teoria dei corpi delle classi sviluppata nel periodo d’oro degli anni ‘30 in Germania . Un caso molto speciale di tale programma è la cosiddetta “congettura di Shimura-Taniyama-Weil”, sulla cui base, nel 1994, A. J. Wiles e R. Taylor sono riusciti ad ottenere una dimostrazione “indiretta” dell’ UTF o Ultimo Teorema di Fermat.
    Ma tale dimostrazione generale indiretta dell’UTF è stata ottenuta dieci mesi dopo la prima e per ora unica dimostrazione “diretta”dell’UTF, ottenuta da Onofrio Gallo il 27 Dicembre 1993, contenuta in una memoria di appena sei pagine, fondata su un nuovo tipo di logica non-standard, creata dal suo Autore che consente di trasformare, per la prima volta nella Storia delle Matematiche, un’identità in un’equazione.
    Tale memoria, dal titolo Sulla risolubilità delle equazioni diofantte del tipo (F) x^n+y^n=z^n, è stata depositata a Roma il 27 Dicembre 1993 e, successivamente, in lingua francese, quella di Fermat, anche a Gottingen (27 Ottobre 1994); e, infine, in lingua inglese, ad Oslo ( 29 Settembre 2004).
    L’Ultimo Teorema di Fermat , dopo circa 360 anni, è diventato un caso particolare del Teorema Mirabilis di Gallo (1993)( per approfondimenti si veda il sito: tuttidentro.wordpress.com/…/homer-simpson-ci-prova-col-teorema-di-fermat/).
    Ed ecco l’enunciato del celeberrimo Ultimo Teorema di Fermat (UTF):
    “ L’equazione diofantea x^n+ y^n= z^n con x,y, z, interi positivi, non ammette soluzioni se n è maggiore di 2.”

    Quanto visse Diofanto?
    “Questa tomba racchiude Diofanto. Oh, meraviglia! Essa dice matematicamente quanto egli ha vissuto. Dio gli accordò il sesto della sua vita per l’infanzia; aggiunse un dodicesimo perché le sue guance si coprissero della peluria dell’adolescenza; inoltre per un settimo fece brillare per lui la fiamma d’Imene e dopo 5 anni di matrimonio gli diede un figlio, ahimé!, unico ed infelice bambino al quale la Parca non permise di vedere che la metà della vita di suo padre. Durante quattro anni ancora, consolando il suo dolore con lo studio delle cifre, Diofanto raggiunse alfine il termine della sua vita.”

    Si tratta del noto epigramma (postumo, contenuto nell’Antologia Palatina, redatto circa un secolo dopo la morte di Diofanto, dovuto forse a Metrodòro di Bisanzio nel VI sec.) che pone in relazione l’età di Diofanto ad eventi della sua vita ( fanciullezza-barba- matrimonio-morte) e di quella del figlio.
    Esso si traduce nella semplice equazione algebrica di primo grado:
    (1/6)x+ (1/12)x+ 5 + (1/2)x +(1/7)x +4 =x. Per cui Diofanto visse 84 anni.

    Dunque, per ironia della sorte, quasi un vero paradosso, l’equazione risolvente di tale indovinello, pur essendo di primo grado e pur essendo la sua soluzione di tipo diofantea (la sua soluzione è un intero positivo, essa non è affatto del tipo diofantea ax+by=c, in due incognite, con a,b,c interi non nulli ed x,y, numeri interi postivi, in quanto essa è un’equazione algebrica di primo grado del tipo ax=b la cui unica soluzione è x=b/a.
    News a cura di Umberto Esposito tratte dal Codex Cervinarensis del matematico Onofrio Gallo per gentile concessione dell’Autore

  12. umberto esposito ha detto:

    A PROPOSITO DI …EQUAZIONI DIOFANTEE
    Sono equazioni che non vengono studiate nei licei nostrani, ma non tutti si sono chiesti il perchè: Siamo, appunto, vittime della disinformazione che qui cercheremo in parte di colmare. Non tutti sanno infatti che anche all’inizio del XXI Secolo i matematici accademici ( i cosiddetti “luminari” sta per “docenti universitari”, in particolare italiani) si ostinano ancora oggi a continuare ad arrovellarsi su come risolvere anche la più semplice delle equazioni diofantee (quella cosiddetta “lineare”del tipo ax+by=c), per non dire di quello che essi combinano non appena il grado n di tali equazioni risulta maggiore ( Equazioni k-Diofantee di Gallo) o uguale ad n (equazioni di Fermat-Pell)..
    La risoluzione di siffatte equazioni diventa quasi banale se si ricorre alle formule di Gallo o al Teorema FPG di Gallo (come ampiamente dimostrato on line), ma essi, i “luminari” appunto con l’avallo dei nostri governanti continuano a perdersi nei fumi di Londra delle congruenze gaussiane o, nella migliore delle ipotesi, ricorrendo al plurisecolare algoritmo euclideo o ai metodi confusionari introfdotti dallo stesso Eulero, che non ha mai stabilito delle formule risolutive generali per siffatte equazioni. Diamo qui per i giovani che amano la matematica un esempio di risoluzione di un problema legato ad un…UN ‘EQUAZIONE DIOFANTEA RISOLTA …A VOLO! L’aneddoto figura nel Codex Cervinarensis ( Sezione Problemi Diofantei)del matematico italiano Onofrio Gallo ( n. 1946 a Cervinara in Valle Caudina) . Durante un volo Roma-Londra verso la fine del mese di giugno del 1990 il matematico cervinarese incontrò un suo vecchio amico di nome Luigi, di professione ingegnere navalmeccanico, già a suo tempo collega di studi del biennio a Matematica, col pallino dei “problemi”.
    Dopo i saluti di rito, l’amico Luigi esordì:“ A proposito di problemi! Ti debbo confessare che me n’è capitato uno che ho sì risolto, ma non sono soddisfatto della “soluzione” trovata…Non perché non sia valida, ma perché non sono riuscito ad ottenerla mediante un’equazione generale!”.
    Tirò allora fuori dalla sua vecchia borsa di cuoio lucido una cartella in cui era contenuta la sua soluzione del problema. Aggiunse poi che questo consisteva nella determinazione delle possibili terne numeriche a,b,c con le condizioni (1) a>b e a>c da un lato; e con (2) b maggiore o uguale a c dall’altro lato, sapendo che a,b,c, rispettivamente, indicavano un certo numero di giri compiuti dalle lancette delle ore, dei minuti e dei secondi sul quadrante del suo vecchio orologio Omega che ancora portava al suo braccio sinistro. Aggiunse che tutti i dati e le incognite del problema erano interi e positivi e che il problema stesso era rappresentato dal seguente sistema indeterminato-parametrico ( rispetto al valore s ) formato dalle due equazioni diofantee (S1) abc=36 ed (S2) a+b+c= s , dove s era anch’esso intero positivo, che, disse, “indicava al massimo il doppio delle prime due cifre di uno degli ultimi tre secoli”..
    Il problema richiedeva il calcolo delle possibili soluzioni e inoltre chiedeva qual era la soluzione “ più probabile”. Proseguì poi illustrando la “sua” soluzione numerica (come egli la definiva) del problema. In sostanza egli aveva scomposto il numero 36 segnando l’elenco dei suoi nove divisori: D=( 1, 2, 3, 4, 6, 9, 12, 18, 36). Tenendo conto delle condizioni (1) e (2) Luigi concluse che il problema in questione ammetteva non più di sette soluzioni, date dalle terne (a1, b1, c1) =(36, 1. 1) con s1=38: (a2, b2, c2) =(18, 2. 1) con s2= 21 ; (a3, b3, c3) =(12, 3. 1) con s3=16 ; (a4, b4, c4) =(9, 4. 1) con s4= 14 ; (a5, b5, c5) =(9, 2, 2) con s5=13 ; (a6, b6, c6) =(6, 3. 2) con s6=11 ; (a7, b7, c7) =(4, 3. 3) con s7=10 . Luigi osservò anche che le uniche soluzioni che soddisfacevano “simultaneamente” le condizioni (1) e le (2) erano le due seguenti: (a4, b4, c4) =(9, 4. 1) con s4= 14 ; (a5, b5, c5) =(9, 2, 2) con s5=13 che, insieme avevano 2/7 di probabilità, mentre era chiaro – egli osservò- che la probabilità di ciascuna di esse era (al pari delle altre) sempre uguale ad 1/7.
    Né, secondo lui, esisteva un criterio che potesse far preferire l’una alle altre delle sette soluzioni da lui trovate…a meno che, come disse “ uno non si lasci guidare da qualche criterio di “simmetria”; in tal caso – concluse- la soluzione “più probabile” è (a5, b5, c5) =(9, 2, 2) con s5=13, per il fatto che tale soluzione contempla la circostanza che sui nove casi possibili, per a=1, 2, 3, 4. 6, 9, 12, 18, 36, la componente b=2 figura ben 5 volte su 9 ( frequenza di 55,55 %), il che implica c=2 ed a=9 ed s=13.
    A questo punto egli si chiedeva: “ ma com’è possibile ri-ottenere tali soluzioni, a partire da un’unica equazione generale? Insomma qual è l’equazione che rappresenta il problema?”.
    A tale proposito nel Codex Cervinarensis figura la seguente soluzione di Onofrio Gallo.
    Scritto il sistema formato dalla (S1) e dalla (S2) nella “forma di Gallo” (S’1) a+b= s-c ed (S’2) ab=36/c ( che è un sistema simmetrico fondamentale indeterminato e parametrico), egli ottiene la seguente risolvente ausiliaria in z parametrica (in funzione di c ed s) espressa dall’equazione algebrica di secondo grado ( R1 ) cz^2 –(sc –c^2)z +36 = 0 il cui discriminante (essendo a e b le soluzioni di ( R1) numeri interi positivi) dev’essere un quadrato perfetto (che indichiamo con il simbolo k1) di un numero positivo.
    Per cui dev’essere c^4 +s^2c^2 -2sc^3 -144c=k1, da cui si trae l’equazione algebrica di secondo grado ( R2) c^2s^2 -2sc^3 +(c^4 -144c -k1)= 0, il cui discriminante, per gli stessi motivi precedenti relativi ai valori diofantei s,c, k1, dev’essere ancora un quadrato perfetto ( che indichiamo con il simbolo k2) di un numero intero positivo.
    Per cui risulta c^6 –c^6 + 144c^3 +k1c^2=k2, da cui si trae l’equazione generale diofantea di Gallo che risolve il problema:

    (DG) k2-c^2k1= 144c^3

    La cui soluzione generale di Gallo in base ad una “delle quattro formule di Gallo”è data dai valori:
    k1= ( 1-144c^3 +t)/( 1+c^2) e k2= (144c^3 +c^2+ tc^2 )/(1+c^2) con t= k1+k2 -1 intero positivo dispari.
    Imponendo la positività delle soluzioni fornite dalla (DG9 al variare di c=1,2,3, si ha quanto segue.
    Per c=1, in corrispondenza dei quadrati k1=1, 4, 9, 16, 25 si hanno i valori t=145, 151, 161,175, 193.
    Per c=1 e t1=193 otteniamo (k1.k2)=( 25. 169), per cui dalla (R2) si ricava il valore intero positivo s=14 e quindi la soluzione (a4, b4, c4) =(9, 4. 1) con s4= 14.
    Per c=1 e t2 =305 otteniamo (k1,k2)=( 81, 225) e quindi, per la (R2), la soluzione corrispondente ad s3=16, cioè (a3, b3, c3) =(12, 3. 1) con s3=16.
    Per c=1 e t3= 655 otteniamo (k1,k2)=(256, 400) e quindi, per la (R2), la soluzione corrispondente ad s2=21, cioè (a2, b2, c2) =(18, 2. 1) con s2=21.
    Per c=1 e t4=2593 otteniamo (k1,k2) =(1225, 1369) e quindi, per la (R2). la soluzione corrispondente ad s1=38, cioè (a1, b1, c1) =(36, 1. 1) con s1=38:
    Per c=2 e t5=2131 otteniamo (k1,k2) =(196, 1936) e quindi, per la (R2). la soluzione corrispondente ad s5 = 13 . cioè (a5, b5, c5) =(9, 2, 2) con s5=13 ;
    Per c= 2 e t6= 1331 otteniamo (k1,k2) =(36, 1296) e quindi, per la (R2). la soluzione corrispondente ad s6 = 11 . cioè (a6, b6, c6) =(6, 3. 2) con s6=11
    Per c= 3 e t7= 3977 otteniamo (k1,k2) =(9, 3969) e quindi, per la (R2). la soluzione corrispondente ad s7= 10 . cioè (a7, b7, c7) =(4, 3. 3) con s7=10 .
    Trattandosi di soluzioni diofantee si conclude che non esiste un criterio di “maggiore probabilità” tra di esse; in quanto tali soluzioni sono “equiprobabili”.
    L’aneddoto si conclude “ con un’occhiata reciproca e un sorriso di soddisfazione per entrambi…come ai vecchi tempi dell’università!”.
    Speriamo di aver fatto cosa gradita non solo agli studenti ma anche agli stessi docenti (in particolare quelli del Liceo e degli Istituti Superiori…ma anche a qualche serio ed appassionato docente universitario! Spes ultima dea.
    News a cura di Umberto Esposito per gentile concessione dell’Autore.

  13. umberto esposito ha detto:

    Un omaggio del poeta Onofrio Gallo a Cervinara, alla Valle Caudina e alla sua Storia.
    Presentiamo qui per la prima volta in assoluto, per gentile concessione dell’Autore, uno dei “Sonetti Danteschi” ( esattamente l’XI, che si trova nella Sezione Poesia del Codex Cervinarensis)del poeta e matematico cervinarese, avvertendo che tali sonetti sono stati concepiti in rima dantesca e che essi sono formati da quindici versi, di cui il penultimo ne costituisce la “chiusura”. Il sonetto in questione ha per tematica la Seconda Guerra Sannitica (326-304 a.C.) e le ostilità che si conclusero, dopo vari scontri, in questa seconda fase, con la vittoria dei Sanniti, guidati da Gaio o Gavio Ponzio e le cui schiere si avvalevano dell’apporto dei Caudini, dei Pentri, dei Caraceni e di altri alleati: ricordiamo brevemente che ai Romani occorsero ben 67 anni per piegare (solo nel
    290 a.C.)i Sanniti e i loro alleati

    XI

    Spira dolce il vento della sera/
    In quella terra dolce che dal cervo/
    Si noma e de’confini va fiera/

    Nella larga valle ove il nervo/
    Il grande Gaio mostrò dei Caudini/
    Alle legion di Roma si protervo/

    E fiero; così come il cor degl’Irpini,/
    De’ Caraceni; là, tra le paludi/
    Di Caudium, ove né ai calvini/

    Né agli albini, né a lor virtudi/
    Vittoria rise; si che le romane/
    Schiere addusse, infra gran tripudi,/

    Sotto il giogo delle lance umane,/
    Da’posteri dette “Forche Caudine”,/
    Senza onor e gloria nel dimane,/

    ( Dai “Sonetti Danteschi”, XI, Codex Cervinarensis)
    A cura di Umberto Esposito.

  14. umberto esposito ha detto:

    A proposito del barone Rosso, mi tocca ricordare cheVito Gennaro Gallo (1922-2992), allora giardiniere di Casa De Bellis, padre del futuro matematico cervinarese Onofrio Gallo (link)(n.1946 nella frazione di San Marciano di Cervinara), fu un carissimo amico del “Barone”, l’Avv. Carlo De Bellis, che spesso accompagnava al tribunale di Napoli. La famiglia dei nonni paterni era in relazione con il Barone Don Eugenio De Bellis e i suoi parenti. Il “mathematicus mirabilis”venne battezzato dal noto parroco Don Lione nella Parrocchia di San Marciano. alcuni giorni dopo la sua nascita(13 Maggio 1946). Suo padrino di battesimo fu il cugino del Barone Rosso, S.E. Avv. Generale dello Stato Luigi de Bellis che abitava a Napoli in via Cimarosa anch’egli molto amico di “Genanrino” come i De Bellis chiamavano amichevolmente Vito Genanro Gallo che in seguito si traferì per lavoro in Venezuela dal 1948 al 1961.
    Anche il nonno materno di Onofrio Gallo, l’indimenticabile nobiluomo Pasquale Bizzarro, commerciante di legnami, abitante nella frazione Pirozza dal 1903 al 1975, fu amico del Barone Rosso; anche se in seguito, per motivi contingenti, diventò consigliere comunale e uno dei più stretti collaboratori locali del più potente uomo politico mai vissuto a Cervinara, il Notaio Pasquale Clemente, Sindaco di Cervinara e Senatore della Repubblica. News a cura di Umberto Esposito tratte dalla Sezione Autobiografia del monumentale Codex Cervinarensis (link) di Onofrio Gallo .

  15. Fidya ha detto:

    …stupendo titolo…
     
    ti consiglio questo sito…
    http://www.disinformazione.it
     
    ti piacerà…
     
    Ciao…Forse è la prima volta che vengo in questo space…ma non sarà di certo l\’ultima…ti lascio un piccolo regalo…e l\’augurio di una splendida Giornata!

                                      Oº°‘¨Fidya¨‘°ºO

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